Erano stati bocciati dalla commissioni veronese
Gay e «promessi sposi» in fuga I ricorsi (vinti) dei profughi
«Sono omosessuale, in Gambia rischio il carcere». «Boko Haram mi vuole mor- to». «Sono ricercato dai servizi segreti pakistani». Con queste affermazioni alcuni richiedenti asilo hanno cercato lo status di rifugiati, venendo però bocciati dalle commissioni prefettizia di Verona. In molti casi, però, la Corte d’appello di Venezia, presso la quale hanno presentato ricorso, ha rovesciato il verdetto. Spesso è sufficiente che sussista un generico pericolo, ma viene valutata anche la buona condotta.
Le motivazioni più ricorrenti? Discriminazioni per l’orientamento sessuale, probabilità (basta solo il rischio) di persecuzione di carattere politico e perfino la cara, vecchia «buona condotta». Bocciati dalle commissioni territoriali istituite dalle prefetture, sempre più spesso, com’è loro diritto, i richiedenti asilo presentano appello presso le sedi competenti (per il Veneto, la corte di Venezia).
Un fenomeno ormai noto agli avvocati che si occupano delle vicende correlate ai fenomeni migratori. C’è chi denuncia l’intasamento che questi ricorsi stanno portando nei tribunali e c’è anche li raccoglie meticolosamente per documentare la giurisprudenza (tendenzialmente a favore dei ricorrenti) che si sta formando con le sentenze arrivate negli ultimi mesi (le primissime risalgono alla primavera del 2016). Ribaltate anche molti pareri negativi della commissione di Verona: quasi sempre non viene accordato l’impegnativo status di rifugiato, ma un permesso di soggiorno temporaneo per motivi umanitari oppure la protezione internazionale sussidiaria.
È stato così per un cittadino gambiano, che si è visto respingere in un primo momento la richiesta dalla commissione scaligera. È stato uno dei primi a chiedere asilo per il suo orientamento sessuale. La commissione prefettizia gliel’aveva negato in quanto «la sua versione dei fatti appariva poco dettagliata e priva di particolari», il giudice l’ha ribaltata spiegando come sia sufficiente «dichiararsi omosessuale» in un Paese dove tale «colpa» viene punita con l’ergastolo.
Ma c’è anche chi racconta di liti insorte in contesti «tribali», che hanno avuto, tra le conseguenze, concrete minacce alla propria incolumità. Un cittadino del Mali ha raccontato di essere scappato dal proprio Paese, a seguito di uno scontro tra diversi gruppi armati, i «berretti rossi» e «i berretti verdi», le due fazioni al centro di una guerra civile che dura ormai dal 2012. L’uomo ha anche dichiarato di essere fuggito da un matrimonio combinato imposto dagli zii, e di temere dai parenti una vendetta anche mortale. Anche in questo caso, la commissione territoriale si è concentrata in particolare sulla verosimiglianza del racconto, ritenendolo non attendibile. La Corte d’Appello, però, ha sottolineato come nel Mali ci sia una situazione «generalmente pericolosa» evidenziando il bisogno di cure da parte del soggetto, affetto da tbc. Risultato: decisione respinta e permesso di soggiorno accordato.
Un altro cittadino maliano ha raccontato di come la propria famiglia abbia sofferto a causa di un «esproprio» effettuato da un capovillaggio per costruire una scuola - con i fondi del governo - ma su un terreno scelto arbitrariamente, di proprietà, per l’appunto dei suoi genitori. A seguito dello scontro, ci sarebbe stato un conflitto a fuoco tra lo zio del richiedente e altre persone, che avrebbe causato tre morti. Un racconto che non ha convinto né la commissione né il giudice. Ma il suo ricorso è stato accolto comunque, per tutt’altro motivo: l’uomo, per arrivare in Italia, è transitato dalla Libia, dove ha vissuto e lavorato, e l’Unhcr (l’alto commissariato dell’Onu per i rifugiati) raccomanda protezione ai civili residenti nel Paese del Maghreb. Stesso verdetto anche per un cittadino del Bangladesh che, immigrato in Libia, si è sentito minacciato, dopo gli scontri seguiti alla caduta del regime di Gheddafi, da gruppi locali. In questo caso, ha giocato a suo favore anche il «buon inserimento lavorativo e sociale» rilevato dalla corte.
C’è anche la paura per Boko Haram, l’organizzazione affiliata all’Isis che spadroneggia nel Nord della Nigeria a portare i richiedenti asilo a tentare il ricorso. Alle commissioni, però non bastano affermazioni generiche, come sono state valutate quelle fornite dall’uomo in questo caso, che si sarebbe limitato a dire: «Boko Haram uccide i cristiani» aggiungendo che questa era la sorte occorsa ai suoi genitori. Il tribunale, però, ha accolto la richiesta perché nel Paese africano «c’è un concreto rischio e le organizzazioni statuali non sono in grado di offrire adeguata protezione».
Non accade solo in Africa: un cittadino pakistano si è visto accogliere il ricorso dopo aver dichiarato che «le agenzie segrete» del proprio paese «stavano cercando di ucciderlo», in quanto esponente di un movimento indipendentista del Kashmir. Il giudice di Venezia non ha ritenuto fosse in pericolo di vita, ma gli ha accordato comunque il permesso di soggiorno, in quanto potrebbe essere esposto a scontri tra fazioni.