«La Mostra non ha paura fiducia in chi ci protegge e no a eccessi di identità»
Il presidente della Biennale: «Siamo sereni e orgogliosi»
Sommozzatori in laguna, new jersey e paletti di cemento con telecamere puntate notte e giorno su piazzale Roma, metal detector al Lido. Ce ne sarebbe abbastanza per abbattere le già fievoli volontà di chi dalla provincia nei prossimi giorni vorrebbe tentare di arrivare al Lido per vedere un film o magari farsi un selfie con George Clooney. Ma a cinque giorni dall’avvio della Mostra del Cinema di Venezia in versione G8, con misure di sicurezza mai adottate prima in città, il presidente della Biennale, Paolo Baratta, al contrario ostenta e dispensa serenità. In tutta l’intervista userà la parola «paura» solo per stigmatizzare chi in questo momento «si chiude nella paura. Perché chi ha paura dà potere a qualcuno, si consegna a qualcuno. La paura è pericolosa. Non siamo nati per vivere come bruti. E’ la paura che ha dato il potere al nazismo».
Presidente, dopo l’attacco di Barcellona Venezia è sorvegliata speciale. Per la Mostra, ma anche per la Regata Storica, il Campiello, la visita di Mattarella. Come la vive?
«Molto serenamente. Opponiamo uomini, intelligenza e ora anche cemento alla folle intelligenza che abbiamo dall’altra parte. Noi ci opponiamo con una vivace intelligenza». Quindi i terroristi hanno una folle intelligenza?
«Non sono degli sprovveduti. È una guerra tra due forme dell’uso dell’intelletto».
Non teme che questa militarizzazione possa spaventare il pubblico in arrivo?
«Al contrario. Noi la Mostra la facciamo con la stessa serenità di sempre. So che oltre al cemento ci sono presenze galleggianti in laguna. E non tutto so perché per motivi di sicurezza Paolo Baratta 78 anni. E’ stato ministro con Amato, Ciampi e Dini. Dal 2008 è presidente della Biennale, incarico ricoperto anche dal ‘98 al 2001. è giusto così, anche se la collaborazione è continua. Non credo che questo dissuaderà il pubblico. Il mondo sta reagendo oltre ogni aspettativa con una sorta di sfrontata indipendenza. Il mondo si muove, l’Italia è strapiena di turisti. Dobbiamo avere fiducia nelle istituzioni e in noi stessi. E anzi penso che noi, come tutti coloro che si possono sentire minacciati nella loro indipendenza e apertura mentale, possiamo essere orgogliosi di come stiamo reagendo. Quell’intelligenza che ci attacca è bruta e colpisce indipendentemente da qualsiasi manifestazione dell’intelletto».
L’arte può essere una risposta alla barbarie?
«La Biennale nel suo complesso lo è. Ogni anno accogliamo artisti da diversi Paesi e di diverse etnie e tutti sono riconosciuti sullo stesso piano, perché il riconoscimento reciproco di pari dignità è premessa per tutto. Ogni Stato ha un padiglione indipendentemente dalla potenza economica. L’arte parla agli uomini degli uomini, prima di ogni altra appartenenza a fede o ideologia. E io mi sento a capo di un luogo dove si sperimenta nel vivo il dialogo: fare azioni in comune è di per sé superare i pregiudizi che ci impediscono di dialogare».
E il cinema? Quest’anno ci sono molti titoli che parlano di migrazioni, come «Human Flow» dell’artista cinese Ai Weiwei, dedicato al tema dei migranti.
«Il cinema è ancor di più una delle forme d’arte che più vince su questo dialogo, libero, indipendente».
In questi giorni però c’è chi risponde in modo diverso. Penso alle parole del sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro al Meeting di Rimini, e il suo «ghe sparemo» a chi grida «Allah akbar».
«A parte casi particolari, a parte le battute che possono essere casi occasionali che in quanto tali non testimoniano riflessioni meditate, la cosa peggiore è contrapporre a un eccesso d’identità un altro eccesso d’identità. Se non saremo capaci di verificare forme di dialogo rispetto allo star chiusi, avremo tradito la civiltà occidentale che ha sempre vissuto di assorbimenti e dialoghi. È la civiltà della ragione che deve stimolare la ragione rispetto agli istinti. L’eccesso di difesa è l’anticamera della guerra».
Le fa paura chi si chiude ed erge muri?
«Mi spaventa sia la paura che l’eccesso d’identità. Sono strumenti che possono essere utilizzati contro di noi per imbarbarirci».
La Venezia cafona che si vede a ogni estate, con i turisti che fanno il bagno in canale e i loro bisogni in campo pregiudica il vostro lavoro d’immagine?
«No, perché la qualità di quello che facciamo è evidente e si fonda su fatti evidenti. Essere a Venezia ci riempie di orgoglio, ma pensiamo di essere indicatori di quello che può essere una Venezia diversa. Siamo agevolati dall’essere a Venezia, in cambio però dobbiamo tutti fare qualcosa di diverso dal vivere di rendita su di lei. Quando vedo intere generazioni che come massima aspirazione aprono un B&B a Venezia mi viene in mente che la rendita è un grande sonnifero, toglie il desiderio di stare svegli».
Che messaggio si sente di dare a chi arriverà alla Mostra?
«Primo: il nostro sempre di più è un festival importante come luogo in cui si va al cinema. Un rituale che si sta quasi perdendo, questo invece è il nostro valore aggiunto. Secondo: i luoghi della Mostra stanno diventando i luoghi di un tessuto che si sta per completare. Terzo: si conferma l’utilità di un festival. Quest’anno noi abbiamo cinque majors, perché si sono messe a fare film di qualità, non perché abbiamo abbassato l’asticella noi. E la presenza italiana quest’anno è una presenza importante: gli anni scorsi temevamo i fischi, ora abbiamo una nuova ondata di autori».
Scontro di intelligenze Opponiamo uomini, intelligenza e ora cemento alla folle intelligenza che c’è dall’altra parte. Il mondo sta reagendo con sfrontata indipendenza