«Niente vendette nel nome di Luca»
La famiglia chiede «aratri e non spade», la fidanzata in carrozzina legge «Il Piccolo Principe»
BASSANO DEL GRAPPA Un migliaio di persone hanno dato l’addio ieri, nella chiesa di San Francesco a Bassano, a Luca Russo, il venticinquenne ucciso il 17 agosto sulla Rambla di Barcellona da un attentatore islamista. Struggenti le parole della sorella Chiara e della fidanzata Marta, salvatasi miracolosamente. Dal vescovo e dall’abate di Bassano, parole di pace.
BASSANO DEL GRAPPA Nella chiesa di San Francesco avvolta dal silenzio c’è una bimba che ride, gioca con i capelli della mamma e proprio non ne vuol sapere di stare ferma. Molti la guardano e altri si girano, con le lacrime agli occhi e un sorriso tenero. Forse è vero, come dice il vescovo di Vicenza Beniamino Pizziol, che non è la fine. Non può essere la fine, perché «il male non sarà mai l’ultima parola. Davanti a noi si intravede un mondo nuovo, più giusto e più umano». E se «è insopportabile che si uccida in nome di Dio», noi «non dobbiamo rassegnarci al terrorismo. È il grido di piazza Catalunya: io non ho paura».
Luca Russo aveva solo 25 anni. L’hanno ammazzato sulla Rambla di Barcellona e raccontano che mentre moriva, guardava il cielo. Lo stesso cielo che c’è ora sopra Bassano, limpido, col sole, e vien da chiedersi: che c’entra Bassano con il jihad? Che c’entrano questi ragazzi di vent’anni che affollano la chiesa con altre mille persone, con la morte che la Natura vorrebbe affare per i vecchi? Il vescovo li guarda uno ad uno e guarda Marta, la fidanzata di Luca che
si è salvata per miracolo e se ne sta in sedia a rotelle con un piede e un gomito rotto. Nel mezzo c’è la bara di Luca, coperta dalle rose bianche: «Luca e Marta sono l’emblema di una generazione per cui viaggiare, incontrare persone e culture differenti, è un fattore identitario e decisivo - dice monsignor Pizziol -. Di fronte ad atrocità come quella di Barcellona non dobbiamo far prevalere la paura, la rabbia e la chiusura. Non smettiamo di costruire un mondo di pace e giustizia».
Le fiaccole, i gessetti, i lumini, #JeSuis, i post su Facebook, i concerti «in memoria» possono lenire e forse esorcizzare ma non sembrano più bastare. Lo dicono gli occhi di questi ragazzi, che hanno lauree e master, viaggiano nel mondo e fanno volontariato a casa e insomma, hanno testa e cultura per decriptare la realtà sempre più complicata che li circonda («Ciò che non mi dà pace - ha confessato un giorno la madre di Giulio Regeni, ucciso al Cairo - è che mio figlio aveva tutti gli strumenti per capire ciò che gli stava accadendo, quel che gli stavano facendo»). Nei loro occhi, mentre portano la bara sulle spalle o la guardano sfilare fin sotto l’altare, c’è dolore e sgomento ma anche rabbia, uno smarrimento che rischia di diventare l’anticamera dell’odio. «Siamo in guerra, una guerra non convenzionale scatenata contro gli innocenti» dice il governatore Luca Zaia, prima di prendere posto. E l’iconografia dell’ultimo saluto a Luca ricorda in effetti il tributo ai caduti: il feretro avvolto nella bandiera italiana, i carabinieri in alta uniforme, la corona dei Presidenti della Repubblica, del Senato e della Camera, le autorità (per il governo c’è il viceministro dell’Interno Filippo Bubbico), il sindaco Riccardo Poletto al fianco dei colleghi con la fascia tricolore. La polizia a presidiare il sagrato.
Proprio per questo il messaggio lanciato dalla famiglia di Luca attraverso la sorella Chiara, entrata dal portone con un grande mazzo di girasoli, è ancora più straordinario. Un messaggio di pace - come lo fu quello dei genitori di Valeria Solesin - reso con le parole del profeta Isaia: «Delle loro spade faranno aratri e delle loro lance faranno falci. Una nazione non alzerà più la spada contro un’altra e non impareranno più l’arte della guerra. È parola di Dio». Prima di lei, anche l’abate di Bassano, don Andrea Guglielmi, aveva ricordato l’esempio di Gesù sulla croce: «Nell’ora più tragica disse al suo discepolo: fermati, rimetti la spada nel fodero. Lo Spirito Santo saprà trasformare il rancore in energia». Ad ascoltare ci sono anche padre Christian Manasturean della comunità ortodossa e Ayeva Gafarou di quella musulmana.
Marta, che all’uscita dispenserà più sorrisi che lacrime, specie agli amici del coro che hanno cantato canzoni bellissime (commoventi Song of hope di Lindmark e For You di Cenci), affida il suo ricordo a un brano del Piccolo Principe, il libro preferito di Luca, «che abbiamo rivissuto - racconta - in una festa di quartiere con statue di cartapesta e disegni “a tema” proprio a Barcellona». Lo dedica al suo «Grande Principe»: «Quando tu guarderai il cielo, la notte, visto che io abiterò e riderò in una di esse, sarà per te come se tutte le stelle ridessero. Tu avrai, tu solo, delle stelle che sapranno ridere! E quando ti sarai consolato (ci si consola sempre), sarai conten-
La sorella Delle loro spade faranno aratri, delle lance, falci. E non si faranno più la guerra tra loro
La fidanzata Riderò da una stella e sarà per te come se tutte le stelle ridessero. E sarai contento di avermi conosciuto
to di avermi conosciuto. Avrai voglia di ridere con me. E aprirai a volte la finestra, così, per piacere... e i tuoi amici saranno stupiti di vederti ridere guardando il cielo. Allora tu dirai “Sì, le stelle mi fanno ridere! “E ti crederanno pazzo. T’avrò fatto un brutto scherzo...».
Ci vuole forza, per proseguire, per vedere Luca andarsene per sempre, tra gli applausi, accompagnato dalla sua famiglia verso il cimitero di Bassano. Ci prova ancora l’abate Andrea a rincuorare una comunità che oggi si è dimostrata davvero tale. Ricorda il Toro, la squadra per cui tifava Luca e che pure ha voluto essere presente, accanto ai volontari in tuta fluo della Croce Verde, con bandiera, pallone autografato e «una 10» dedicata: «Quando il Grande Torino era in difficoltà, il capitano, Valentino Mazzola si tirava su le maniche. Era il segnale: il trombettiere del Filadelfia suonava la carica, lo stadio lo seguiva e non ce n’era più per nessuno. Si chiamava “il quarto d’ora granata”. Ecco, ora tocca a noi dare il massimo e il meglio. È il nostro quarto d’ora granata».