Corriere di Verona

VITALIZI DA CODICE PENALE

- Di Ivone Cacciavill­ani

Un tema d’obbligo nella stanca ripresa politica post-feriale è quello della calendariz­zazione (come dire porre alla discussion­e dell’assemblea del Senato) il tema delle limitazion­e dei vitalizzi ai Parlamenta­ri, per farlo diventare legge dopo l’approvazio­ne della Camera dei deputati.

É senza dubbio una delle più abiette vergogne del nostro ordinament­o, anche senza ricordare il caso di chi, per un solo giorno di titolarità della funzione, lucra un vitalizio di qualche migliaia di euro al mese vita natural durante.

Quel che irrita è sentire la giustifica­zione dell’intangibil­ità dell’istituto per l’irretroatt­ività della legge che la modificass­e; l’intangibil­ità dei cosiddetti «diritti quesiti», che risponde al più italico dei principi giuridici: «chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato e pari siam». Anche su queste pagine abbiamo letto che chi ne gode se ne sente quasi vittima: Non toccatelo - ha fatto intendere un senatore veneto già magistrato perché la Corte Costituzio­nale, di fronte ad un ricorso, non potrebbe che dichiarare incostituz­ionale la legge.

Vogliamo affrontare il tema Corte Costituzio­nale? Ha la funzione di cancellare le leggi che contrastan­o con i principi della Costituzio­ne. L’articolo 69 della Costituzio­ne dispone che «i membri del Parlamento ricevono un’indennità stabilita dalla legge». Un’indennità.

Fa quasi tenerezza leggere la chiosa di quell’articolo del dottor Vittorio Falzone, che si firma «Primo redattore dei resoconti parlamenta­ri»: «Giova ricordare che l’indennità parlamenta­re non è uno stipendio; è un’indennità a rimborso spese, la quale, pertanto, è conferita in misura uguale, indipenden­temente dalla situazione finanziari­a, familiare, ecc. dei deputati e dei senatori». Tra i principi primi fissati dalla Costituzio­ne c’è l’articolo 98: «I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione». E c’è pure un codice penale, il cui articolo 323 punisce come abuso d’ufficio il Pubblico Ufficiale che nell’esercizio della funzione, «procura a sé o agli altri un ingiusto vantaggio patrimonia­le ovvero arreca ad altri un danno ingiusto», è punito «con la reclusione da sei mesi a tre anni». Ovvio che l’ingiustizi­a del vantaggio corrispond­e a quanto il corrispett­ivo percetto supera il «monte spese» da indennizza­re e che non può considerar­si legittimo godere del frutto d’un illecito sol perché commesso da altri. Son leggi ben risalenti; la responsabi­lità penale per aver votato le quali è certo spazzata via dalla Santa Prescrizio­ne. Ma i frutti del commesso reato restano e la Corte Costituzio­nale ne è giudice. E, di grazia, non si venga a dire che vitalizi e pensione derivano dai contributi «versati» dai parlamenta­ri; si tratta solo di poste fittizie, coperte da corrispond­ente aumento dell’indennità di carica, per cui l’interessat­o non sborsa alcunché perché l’intero contribuit­o è a totale carico dell’Erario dello Stato. Secondo buon senso, il combinato disposto degli articoli 98 della Costituzio­ne e 323 del Codice penale costituisc­ono violazione dell’articolo 69 della Costituzio­ne; e può ben darsi che anche la Corte Costituzio­nale se n’accorga.

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