I giovani snobbano il posto in azienda? La Cgil: «Cominciate a pagarli meglio»
Donazzan sfida gli industriali: «Ci dicano con precisione quali figure servono e noi le formeremo»
TREVISO Se gli under 30 non provano più alcun tipo di feeling per il posto di lavoro nei capannoni diffusi del leggendario manifatturiero nordestino, non sarà anche perché chi ora li cerca per assumerli li paga troppo poco? Il sospetto è del segretario generale della Cgil di Treviso, Giacomo Vendrame, e nasce all’indomani dell’intervento pubblico della presidente di Unindustria, Maria Cristina Piovesana, rammaricata per il fatto che, ai tirocini professionalizzanti retribuiti con fondi europei organizzati dalla sua associazione, solo la metà dei posti è stata occupata: appena 100 iscritti (di cui 25 stranieri) per 200 slot di tre mesi più altri tre, al termine dei quali, con uno studiato mix di apprendimento teorico e pratica nelle aziende trevigiane che hanno accolto i tirocinanti, un contratto stabile avrebbe avuto buone possibilità di concretizzarsi.
Di fronte al mezzo flop, le conclusioni di Piovesana sono state due. La prima: i giovani probabilmente sognano più una carriera da chef, magari con passaggio televisivo in concorsi magari umilianti ma di grande popolarità. La seconda: «Le componenti sociali ed istituzionali» nostrane non sanno diventare classe dirigente, nel senso della capacità di parlare chiaro ai giovani e spiegare loro che, senza andare all’estero, il nostro manifatturiero è in grado di offrire eccellenti prospettive di affermazione professionale.
Sarà anche vero, risponde Vendrame dalla Cgil, ma dove sta scritto che a stabilire cosa debba o non debba scegliere un ragazzo sia per forza il mondo dell’industria? Che piedistallo è mai questo, da cui si aprono o chiudono i canali a seconda delle circostanze e si dettano pure i profili di salario, orario e diritti, con la presunzione di trovare sempre tutti pronti alla chiamata? «D’accordo, i posti di lavoro ci sono - ammette Vendrame -, ma a quali condizioni? Se continuiamo a offrire stage con rimborso o turni di lavoro in fabbrica sottopagati, tanto quanto avviene in altri settori – continua il leader della Cgil trevigiana - è normale che un ragazzo, a parità di condizioni, possa prendere altre vie. Abbiamo fatto crescere la nuova generazione col mito della flessibilità, della scomparsa del posto fisso, e adesso ci lamentiamo che questo non viene più scelto?».
Il ragionamento trova una sponda anche nel sociologo Vittorio Filippi, secondo il quale l’idea di «fabbrica», benché questo ambiente oggi sia lontano anni luce dall’immaginario del secolo scorso, per i giovani è più un concetto di storia economica che un loro progetto o tantomeno un sogno. «Senza trascurare però il fatto – sottolinea Filippi – che se le persone con età da ingresso nel mondo del lavoro non si presentano, è semplicemente perché non sono mai nate. Una pura questione demografica: chi ha oggi poco più di vent’anni è venuto al mondo in un momento di natalità minima. E se su 100 iscritti ai corsi di Unindustria 25 sono stranieri, non è che un fedele riflesso della composizione attuale della società veneta, capace di reggere l’equilibrio fra fasce d’età solo grazie all’apporto di persone giovani immigrate o nate da famiglie straniere».
Per tornare al cuore della questione, il sociologo propone di richiamare in servizio un termine ora caduto in disuso, che è «orientamento»: «Noi dobbiamo fare i conti con due osti. Uno è la crisi o la ripresa, l’altro la trasformazione tecnologica in atto. Sull’orientamento si gioca la competitività, il Veneto non può permettersi
di sprecare i suoi pochi giovani lasciandoli ciondolare da “Neet” (individui che non studiano e non cercano lavoro, ndr) o mandandoli all’estero o facendo far loro scuole o università sbagliate. Occorre consapevolezza, non giustificare la disoccupazione con l’alibi della crisi. E’ troppo comodo».
Una puntuale sfida alla presidente Piovesana è quella che arriva da Elena Donazzan, assessore regionale alle politiche del lavoro. «E’ una donna che parla chiaro e allora le rivolgo una domanda chiara. La sua associazione è in grado di dirmi, settore per settore, di quali precise figure occupazionali ciascuna azienda oggi ha bisogno? Se avessi questo dato – assicura l’assessore – domani comincerei a formarne un numero due o tre volte superiore, dal quale le imprese poi sceglierebbero i candidati migliori». Nel gioco del disallineamento fra domanda e offerta di lavoro, in sostanza, conta anche questo: informazioni precise per soluzioni precise. «Ho sempre sostenuto l’importanza dei corpi intermedi – prosegue Donazzan – ma la “crisi della rappresentanza” non vale solo per la politica. Fino ad alcuni anni fa, per un’associazione di categoria come gli industriali bastava elaborare buste paga per gli iscritti e fare un po’ di convegni, adesso è ora di andare oltre. Di occuparsi, ad esempio, di contrattazione di secondo livello, banche, formazione e, insisto, di saper compiere un’analisi capillare del fabbisogno anche occupazionale dei propri associati».