AFGHANISTAN SBANCATUTTO
Premiate ieri le pellicole in concorso al «Lessinia»: primo posto per «Wolf and sheep». Subito dietro, un documentario che racconta la guerra dagli occhi della popolazione di un altopiano. Saranno proiettati nuovamente questa sera
Una comunità di bambini e ragazzini, che vivono isolati da tutti, nell’Afghanistan martoriato dalla guerra. La storia di un’amicizia speciale, capace di rompere la catena del pregiudizio. E ancora: la lotta degli uomini (anche se giovanissimi) contro la natura, per proteggere i greggi dagli attacchi del lupo. Gli organizzatori del Film Festival della Lessinia avevano promesso un’edizione «attenta alle scene misconosciute» che avrebbe portato sullo schermo del teatro Vittoria di Bosco Chiesanuova film da cinque continenti. Così è stato: anzi, proprio quei film, ieri hanno convinto la giuria, che ha assegnato loro i premi principali.
Il Lessinia d’Oro, il premio principe del festival è andato «Wolf and sheep - Il lupo e le pecore», lungometraggio afgano firmato da Shahrbanoo Sadat e coprodotto da Danimarca e Francia. Un film capace «di creare un quadro complesso, emozionante e a volte buffo della quotidianità di un villaggio afghano, fatta di piccoli conflitti, pettegolezzi e amicizie». L’abile direzione dei personaggi, prevalentemente attori non professionisti ha fatto il resto.
Le montagne dell’Afghanistan sono protagoniste anche del film secondo classificato «The land of the enlightened – La terra degli illuminati» del regista e fotografo belga Pieter-Jan De Pue: questa volta la guerra è raccontata con un documentario, girato sulle alture del Pamir. «Lontano dal politicamente corretto – motivano i giurati – il film apre le nostre menti sulle conseguenze ambivalenti e contraddittorie della situazione afghana. Attraverso la prossima generazione di adolescenti, e un esercito di giovani soldati catapultati in quel che resta di un Afghani-
stan segnato da continui conflitti, il film mostra il ritorno del mito di gloria e la nascita di una nuova guerra tra “signori”».
Tra le 21 opere cinematografiche in concorso, la giuria internazionale – composta quest’anno da Camille Chaumereuil, Petra Felber, Frode Fimland, Andreas Pichler e Sara Zanatta – ha consegnato alla scrittrice e regista svizzera Alice Schmid il premio per il miglior documentario: «La ragazza dell’Änziloch», per la capacità di intrecciare natura e mito con la quotidianità di una dodicenne. Il premio per il miglior lungometraggio è stato
attribuito a «Gli eremiti», di
Ronny Trocker, mentre migliore cortometraggio è risultato essere Dadyaa (Francia, Nepal 2016) di Pooja Gurung e Bibhusan Basnet, ambientato in un villaggio nepalese.
Non è mancato il premio speciale per film dedicato alle minoranze linguistiche: «Il mio nome è Eeooow», che narra di un’usanza di un remoto villaggio indiano che consiste nell’inventare una melodia per i nuovi nati.
Italiano il film preferito dal pubblico: «Ritorno sui monti naviganti», documentario dedicato al decennale dell’omonimo libro, nato da un viaggio sugli Appennini dello scrittore Paolo Rumiz. Il Premio «Log to Green» per il miglior film ecosostenibile è andato al fotografo, regista e produttore Alessandro Pugno per « Giardini di piombo», mentre quello della giuria di Microcosmo (composta da detenuti del carcere di Montorio) è andato al francese «Arborg», uno delle pellicole più «d’azione» tra quelle presentate al festival. Questa sera, proiezione dei film vincitori.