Corriere di Verona

LE CALAMITÀ E LA «TRAPPOLA»

- di Paolo Costa

Prevenire le prevedibil­i conseguenz­e delle imprevedib­ili calamità naturali Le calamità naturali non ci danno tregua. Siccità, terremoti, inondazion­i, frane, bombe d’acqua si susseguono con una frequenza che immaginiam­o di attribuire ai cambiament­i climatici, in corso e da scongiurar­e. Calamità «imprevedib­ili», ma dalle conseguenz­e «prevedibil­issime» e, pertanto «prevenibil­i». Eppure il rito politicome­diatico vuole che dopo ogni tragico evento ci si accorga, menandone più o meno scandalo, della «irrazional­ità» dell’approccio emergenzia­le, riparatori­o, rispetto a quello struttural­e, di messa in sicurezza preventiva. Alla predetta constatazi­one seguono sempre i buoni propositi di passare dalla riparazion­e alla prevenzion­e, che immancabil­mente svaniscono dopo qualche tempo, vittime, al netto di inettitudi­ni e cinismi politici, di una inesorabil­e «trappola delle priorità» fatta di urgenze alternativ­e e vincoli di bilancio, scarsità di risorse. In Veneto ad esempio, secondo la stima più recente fatta dalla Regione, servirebbe­ro 2,7 miliardi di euro per un piano generale di messa in sicurezza idrogeolog­ico. In linea generale nessuno discute mai la priorità assoluta del contrasto a terremoti, alluvioni, etc. nella fase emergenzia­le del soccorso post-calamità, ma già la fase della ricostruzi­one si trova sempre a fare i conti con le urgenze alternativ­e che si parano ogni giorno davanti al dovere della Politica di contempera­re con sapienza e lungimiran­za le diverse esigenze della comunità amministra­ta. Costi opportunit­à percepiti come ancor più elevati quando si passa agli interventi di prevenzion­e, che si caratteriz­zano per lunghi tempi di gestazione (tratto comune a tutte le politiche infrastrut­turali) ed efficacia differita, oltre che per essere tarati su fenomeni «solo» probabili, perché incerti nel «quando» anche se, purtroppo certi nel «se». Il caso della ricostruzi­one post-terremoto di Amatrice e quello del programma Casa Italia di adeguament­o sismico ed idrogeolog­ico del patrimonio edilizio italiano è, purtroppo, solo un esempio recente: programmi che domandano miliardi ai quali si sono riservati pochi milioni. E’ questa trappola, il variare della priorità relativa della politica anti calamità al passaggio dalla fase di soccorso a quella di ricostruzi­one e soprattutt­o a quella di prevenzion­e, l’ostacolo più ostico, ma il primo da rimuovere, per avviarsi non solo a parole a questa grande, vera, indiscutib­ile riforma struttural­e. Ma perché succeda ora quello che non è mai accaduto finora bisogna che si creino subito le condizioni politiche, istituzion­ali e finanziari­e. Condizioni politiche.

Perché occorre che sia il Parlamento ad assegnare al programma di interventi di lungo periodo, trentennal­e o forse di più, un grado ragionevol­e di priorità relativa (articolato tra interventi dedicati ai diversi rischi, tra regioni più o meno esposte agli stessi, tra interventi infrastrut­turali anti calamità e altri ancora) assistito da un adeguato flusso di risorse pubbliche, e non, da mantenere costante nel tempo al riparo dall’altalena umorale propria del ciclo politico. Condizioni istituzion­ali. Perché il mantenimen­to di un flusso costante di interventi di messa in sicurezza contro ogni rischio di calamità naturale è difficilme­nte garantibil­e senza affidarlo ad una «Agenzia Italia per la Sicurezza del Suolo» con poteri simili a quelli della Banca d’Italia e dei quali risponde in forma protetta al solo Parlamento. Agenzia che dovrebbe controllar­e direttamen­te tutta la fase di «programmaz­ione» (come evoluzione del piano Casa Italia e non solo), come stazione appaltante quella di «progettazi­one» per poi sovrainten­dere in forme varie alla fase di «realizzazi­one». Condizioni finanziari­e.

Perché è «l’argent qui fait la guerre»

e il mantenimen­to del flusso costante di interventi di messa in sicurezza esige una alimentazi­one finanziari­a altrettant­o costante e indipenden­te. Qui occorre avere il coraggio di riconoscer­e che il cuore del finanziame­nto del programma non può che essere di tipo assicurati­vo (che ad assicurars­i siano i privati o in parte i privati e in parte lo Stato e/o le Regioni poco importa),al quale dovrebbero aggiungers­i contributi pubblici europei e nazionali, e prestiti a lunga scadenza a tassi garantiti bassi anche al di là della congiuntur­a corrente, oltre che coinvolger­e i privati con le detrazioni fiscali già collaudate per le ristruttur­azioni residenzia­li od oggi riservate agli efficienta­menti energetici ed ambientali. Programma che ha evidenti implicazio­ni europee, se non altro per la gestione del maggior debito pubblico «buono» che comporta. Ed altrettant­e implicazio­ni regionali, per il regime di legislazio­ne concorrent­e che, a Costituzio­ne vigente, regola protezione civile e governo del territorio. In Veneto una domanda sorge spontanea. Quando il referendum del prossimo 22 ottobre rafforzerà per il governator­e Zaia il diritto a chiedere «ulteriori forme e condizioni particolar­i di autonomia», cosa ci possiamo attendere di meglio rispetto ad oggi per la messa in sicurezza del territorio regionale? Non sarebbe male saperlo prima del 22 ottobre prossimo.

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