LE CALAMITÀ E LA «TRAPPOLA»
Prevenire le prevedibili conseguenze delle imprevedibili calamità naturali Le calamità naturali non ci danno tregua. Siccità, terremoti, inondazioni, frane, bombe d’acqua si susseguono con una frequenza che immaginiamo di attribuire ai cambiamenti climatici, in corso e da scongiurare. Calamità «imprevedibili», ma dalle conseguenze «prevedibilissime» e, pertanto «prevenibili». Eppure il rito politicomediatico vuole che dopo ogni tragico evento ci si accorga, menandone più o meno scandalo, della «irrazionalità» dell’approccio emergenziale, riparatorio, rispetto a quello strutturale, di messa in sicurezza preventiva. Alla predetta constatazione seguono sempre i buoni propositi di passare dalla riparazione alla prevenzione, che immancabilmente svaniscono dopo qualche tempo, vittime, al netto di inettitudini e cinismi politici, di una inesorabile «trappola delle priorità» fatta di urgenze alternative e vincoli di bilancio, scarsità di risorse. In Veneto ad esempio, secondo la stima più recente fatta dalla Regione, servirebbero 2,7 miliardi di euro per un piano generale di messa in sicurezza idrogeologico. In linea generale nessuno discute mai la priorità assoluta del contrasto a terremoti, alluvioni, etc. nella fase emergenziale del soccorso post-calamità, ma già la fase della ricostruzione si trova sempre a fare i conti con le urgenze alternative che si parano ogni giorno davanti al dovere della Politica di contemperare con sapienza e lungimiranza le diverse esigenze della comunità amministrata. Costi opportunità percepiti come ancor più elevati quando si passa agli interventi di prevenzione, che si caratterizzano per lunghi tempi di gestazione (tratto comune a tutte le politiche infrastrutturali) ed efficacia differita, oltre che per essere tarati su fenomeni «solo» probabili, perché incerti nel «quando» anche se, purtroppo certi nel «se». Il caso della ricostruzione post-terremoto di Amatrice e quello del programma Casa Italia di adeguamento sismico ed idrogeologico del patrimonio edilizio italiano è, purtroppo, solo un esempio recente: programmi che domandano miliardi ai quali si sono riservati pochi milioni. E’ questa trappola, il variare della priorità relativa della politica anti calamità al passaggio dalla fase di soccorso a quella di ricostruzione e soprattutto a quella di prevenzione, l’ostacolo più ostico, ma il primo da rimuovere, per avviarsi non solo a parole a questa grande, vera, indiscutibile riforma strutturale. Ma perché succeda ora quello che non è mai accaduto finora bisogna che si creino subito le condizioni politiche, istituzionali e finanziarie. Condizioni politiche.
Perché occorre che sia il Parlamento ad assegnare al programma di interventi di lungo periodo, trentennale o forse di più, un grado ragionevole di priorità relativa (articolato tra interventi dedicati ai diversi rischi, tra regioni più o meno esposte agli stessi, tra interventi infrastrutturali anti calamità e altri ancora) assistito da un adeguato flusso di risorse pubbliche, e non, da mantenere costante nel tempo al riparo dall’altalena umorale propria del ciclo politico. Condizioni istituzionali. Perché il mantenimento di un flusso costante di interventi di messa in sicurezza contro ogni rischio di calamità naturale è difficilmente garantibile senza affidarlo ad una «Agenzia Italia per la Sicurezza del Suolo» con poteri simili a quelli della Banca d’Italia e dei quali risponde in forma protetta al solo Parlamento. Agenzia che dovrebbe controllare direttamente tutta la fase di «programmazione» (come evoluzione del piano Casa Italia e non solo), come stazione appaltante quella di «progettazione» per poi sovraintendere in forme varie alla fase di «realizzazione». Condizioni finanziarie.
Perché è «l’argent qui fait la guerre»
e il mantenimento del flusso costante di interventi di messa in sicurezza esige una alimentazione finanziaria altrettanto costante e indipendente. Qui occorre avere il coraggio di riconoscere che il cuore del finanziamento del programma non può che essere di tipo assicurativo (che ad assicurarsi siano i privati o in parte i privati e in parte lo Stato e/o le Regioni poco importa),al quale dovrebbero aggiungersi contributi pubblici europei e nazionali, e prestiti a lunga scadenza a tassi garantiti bassi anche al di là della congiuntura corrente, oltre che coinvolgere i privati con le detrazioni fiscali già collaudate per le ristrutturazioni residenziali od oggi riservate agli efficientamenti energetici ed ambientali. Programma che ha evidenti implicazioni europee, se non altro per la gestione del maggior debito pubblico «buono» che comporta. Ed altrettante implicazioni regionali, per il regime di legislazione concorrente che, a Costituzione vigente, regola protezione civile e governo del territorio. In Veneto una domanda sorge spontanea. Quando il referendum del prossimo 22 ottobre rafforzerà per il governatore Zaia il diritto a chiedere «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia», cosa ci possiamo attendere di meglio rispetto ad oggi per la messa in sicurezza del territorio regionale? Non sarebbe male saperlo prima del 22 ottobre prossimo.