Arici, archivio sterminato alla Fondazione Querini
LA DONAZIONE Dopo anni di inutili contatti con istituzioni ed enti veneziani, il patrimonio di oltre un milione di scatti trova casa. L’artista: «Per me è come un figlio, fonte di grandi soddisfazioni e di grandi preoccupazioni»
Il calvario dell’incredibile archivio fotografico di Graziano Arici è finito grazie allo scricchiolìo di un parquet. Un milione e 200mila scatti che raccontano la storia di Venezia (e non solo) da metà ‘800 all’inizio del nuovo millennio sono stati donati dallo stesso fotografo alla Fondazione Querini Stampalia di Venezia, che si conferma custode privilegiato (e lungimirante) del passato e del futuro, da Carlo Scarpa a Mario Botta, da Luigi Ghirri ad Arici. «Sono ancora giovane — dice con un sorriso il maestro sessantottenne — ma a farmi decidere per la donazione alla Fondazione è stato un ricordo di quando ero molto giovane. Il celebre scricchiolìo del parquet della Querini quando si veniva la sera a leggere un libro qui, in questo luogo speciale». Ecco, merito del parquet se l’artista, ormai esule Oltralpe, ha rifiutato l’offerta dai francesi che hanno corteggiato per anni il suo archivio sterminato. «Non ho figli — spiega — ma per me questo archivio è come un figlio, fonte di grandi soddisfazioni e di grandi preoccupazioni». Preoccupazione per il «dopo», dice, «e ci siamo capiti».
I primi scatti, in un irresistibile bianco/nero, datano al 1954 e hanno il volto di Paul Newman in bacino San Marco, di Sofia Loren sul bagnasciuga del Lido, di Jean Paul Sartre e Simone de Beauvoir a passeggio a Rialto. E la ritrattistica, che include capi di stato da Churchill a Mitterand, è senz’altro l’Arici più noto. Arianna, la studentessa che sta completando la sua tesi di dottorato sul corpus dell’archivio, però, avrà a che fare con vent’anni di scatti del Teatro La Fenice, ricostruito «com’era e dov’era» proprio grazie alle fotografie di Arici. Si imbatterà nelle foto di scena epocali del Prometeo di Luigi Nono, Emilio Vedova e Massimo Cacciari. L’obiettivo di Arici ha catturato tanta parte dell’evoluzione di Venezia negli ultimi decenni. Dalle contestazioni studentesche a quelle operaie, dalle manifestazioni storiche di fine anni ’60 agli scatti drammatici di Porto Marghera in agonia. Arici c’era quando Franco e Franca Basaglia si battevano per la riforma della psichiatria: valicava le recinzioni dei manicomi di Sant’Erasmo e San Clemente. C’era in mezzo al fango delle alluvioni, come quella del settembre ’71, quando un intero vaporetto e i 21 passeggeri furono inghiottiti da una tromba d’aria. E c’era in mezzo a un altro fango, quello che per secoli ha custodito tesori archeologici in laguna.
Alla presentazione di ieri l’occhio scivolava tra una miscellanea fra seppia, colore e bianco/nero di pezzi di Venezia. Pezzi pulsanti, come di un organismo vivo: la distesa desolata di Sacca Fisola pre-edificazioni popolari, il brulichìo umano per i Pink Floyd in piazza San Marco, ma anche tante immagini dei turisti cafoni. Foto d’attualità? No, perché risalgono agli anni ’80 e sì perché trattare i masegni della Serenissima come piazzole di un camping è ancora in voga. E un inossidabile Italo Zannier, docente di Storia della fotografia per 30 anni, tuona dall’alto dei suoi 85 anni: «La fotografia è ancora arte vassalla e neppure ci accorgiamo che non è riproduzione della realtà ma essa stessa pensiero, ideologia a volte. Dalla fotografia sono nati cinema, tivù e Internet, incluso quello sui telefonini».
L’archivio, che comprende preziose acquisizioni ottocentesche, ha cercato casa per anni. «La lista delle istituzioni veneziane che hanno promesso e mai mantenuto è lunga — commenta Arici — ecco perchè questa è una vittoria un po’ amara». Alla Querini son ben felici di accoglierlo, tanto più che metà foto sono già digitalizzate. «È un patrimonio monumentale – commenta il direttore Marigusta Lazzari — il più grande deposito di immagini d’Italia. Spazia dalla questione istriana alla caduta del muro di Berlino, dalla guerra in Bosnia agli inizi del movimento studentesco. Stiamo già pensando, con Graziano, a come valorizzarlo».