SCUOLE GHETTO E GLOBALITÀ
Capita continuamente di ascoltare o leggere inviti all’integrazione fra italiani e immigrati. Belle parole, concetti tanto etici che c’è da arrossire d’imbarazzo se uno ha qualche dubbio in proposito. Nella pratica, però, non tutto coincide con la grammatica. Un esempio lo fornisce la scuola Rosmini del quartiere Arcella di Padova, dove l’unica prima classe elementare è composta soltanto di bambini di origine straniera benché in gran parte parlanti l’italiano, probabilmente imparato già nella scuola materna. Insegnanti e dirigente non ne fanno un problema: dicono che i piccoli (di sette etnie diverse e conseguenti nomi esotici) sono felici e così pure i loro genitori, per evidente travaso di felicità.
Eppure qualche adulto scontento c’è e tale scontentezza manifesta, riferendosi proprio a quella integrazione tanto lodata quanto smentita dai fatti. Come sarebbe possibile realizzarla, d’altronde, in una classe dove non c’è un solo bambino italiano? Eh, risponde la preside, ma ci sono le maestre che parlano italiano, e a chi non lo capisce pure l’inglese, come se bastasse capire qualcosa di una lingua per ottenere il famoso ius soli, anch’esso tanto predicato quanto ritardato. Il fatto è che a scuola non conta solo la bravura degli insegnanti, ma anche l’arricchimento che proviene dai compagni, e il fatto che su 24 alunni non ce n’è uno ad essere italiano non è proprio una concreta opportunità di integrazione. Striscione I cittadini di Sappada invocano la «secessione»
Certo, in quel quartiere gli stranieri sono tanti, ma ormai non c’è dubbio che non pochi genitori padovani abbiano preferito iscrivere i loro pargoli in scuole senza troppi stranieri, i quali (sentito con le mie orecchie) «come minimo rallenterebbero l’apprendimento». Il caso si presta dunque a opinioni contrapposte, il che di per sé non sarebbe male. Male è, semmai, che certe scolaresche-ghetto siano composte soprattutto di poveri, mentre esistono scuole per ricchi dove i bambini trovano in famiglia le risorse necessarie a pagare insegnanti internazionali: là l’inglese si parla, si scrive e si ascolta fin dall’asilo. O scuole bilingui, come quella italo-cinese dell’Arcella, dove gli scolari, oltre a trovare un insegnamento che «coniuga Confucio e Montessori», studiano a scuola sette-otto ore al giorno, fanno sport in lussuose palestre e coltivano hobby. Queste scuole sono private, accessibili anche a italiani. E soprattutto dispongono di quel denaro che permette un’integrazione a livelli altissimi, a differenza di chi, straniero, manda i figli alle scuole pubbliche, dove l’istruzione è lenta e l’integrazione è paralizzata. Ma si parla tanto di ius soli.