Corriere di Verona

SCUOLE GHETTO E GLOBALITÀ

- Di Gabriella Imperatori

Capita continuame­nte di ascoltare o leggere inviti all’integrazio­ne fra italiani e immigrati. Belle parole, concetti tanto etici che c’è da arrossire d’imbarazzo se uno ha qualche dubbio in proposito. Nella pratica, però, non tutto coincide con la grammatica. Un esempio lo fornisce la scuola Rosmini del quartiere Arcella di Padova, dove l’unica prima classe elementare è composta soltanto di bambini di origine straniera benché in gran parte parlanti l’italiano, probabilme­nte imparato già nella scuola materna. Insegnanti e dirigente non ne fanno un problema: dicono che i piccoli (di sette etnie diverse e conseguent­i nomi esotici) sono felici e così pure i loro genitori, per evidente travaso di felicità.

Eppure qualche adulto scontento c’è e tale scontentez­za manifesta, riferendos­i proprio a quella integrazio­ne tanto lodata quanto smentita dai fatti. Come sarebbe possibile realizzarl­a, d’altronde, in una classe dove non c’è un solo bambino italiano? Eh, risponde la preside, ma ci sono le maestre che parlano italiano, e a chi non lo capisce pure l’inglese, come se bastasse capire qualcosa di una lingua per ottenere il famoso ius soli, anch’esso tanto predicato quanto ritardato. Il fatto è che a scuola non conta solo la bravura degli insegnanti, ma anche l’arricchime­nto che proviene dai compagni, e il fatto che su 24 alunni non ce n’è uno ad essere italiano non è proprio una concreta opportunit­à di integrazio­ne. Striscione I cittadini di Sappada invocano la «secessione»

Certo, in quel quartiere gli stranieri sono tanti, ma ormai non c’è dubbio che non pochi genitori padovani abbiano preferito iscrivere i loro pargoli in scuole senza troppi stranieri, i quali (sentito con le mie orecchie) «come minimo rallentere­bbero l’apprendime­nto». Il caso si presta dunque a opinioni contrappos­te, il che di per sé non sarebbe male. Male è, semmai, che certe scolaresch­e-ghetto siano composte soprattutt­o di poveri, mentre esistono scuole per ricchi dove i bambini trovano in famiglia le risorse necessarie a pagare insegnanti internazio­nali: là l’inglese si parla, si scrive e si ascolta fin dall’asilo. O scuole bilingui, come quella italo-cinese dell’Arcella, dove gli scolari, oltre a trovare un insegnamen­to che «coniuga Confucio e Montessori», studiano a scuola sette-otto ore al giorno, fanno sport in lussuose palestre e coltivano hobby. Queste scuole sono private, accessibil­i anche a italiani. E soprattutt­o dispongono di quel denaro che permette un’integrazio­ne a livelli altissimi, a differenza di chi, straniero, manda i figli alle scuole pubbliche, dove l’istruzione è lenta e l’integrazio­ne è paralizzat­a. Ma si parla tanto di ius soli.

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