Corriere di Verona

L’aquila in piazza e la paura dell’ultimo miglio

- Di Emilio Randon

SAPPADA (BELLUNO)Prima della neve, dolce e leggera, è arrivata la secessione. Piccola, regionale eppur rumorosa e pesante. Tanto che l’architrave dell’integrità territoria­le veneta cigola sinistrame­nte sotto il peso del voto di ieri mattina al Senato. Sappada è in festa. E il contrappas­so pagato da Zaia è beffardo, chi di autonomia ferisce di autonomia perisce. Sul bar Karl Keller hanno issato la bandiera con l’aquila rampante del Friuli (la testa girata a destra in campo rosso segno di pace, se guarda a sinistra è guerra), si stappa Tocai friulano, si brinda al ritorno a casa.

Meno tasse, più contributi, i bicchieri hanno il suono tintinnant­e dei soldi che ci si aspetta arrivino generosi e grati. «In barba ai gufi, alla faccia di chi ci dava per morti». «Alla faccia del traditore Sonego» (l’onorevole di Pordenone che in aula ha votato contro, l’unico). «Onore e fedeltà alla nuova casa la prodiga e vicina regione Friuli. Poi, nei fatti, il bicchiere resta a metà, svuotarlo porta sfortuna dal momento che manca ancora un passaggio alla Camera. Si temono imboscate, colpi di coda. Ci si saluta alla friulana, «mandi».

Qui a Sappada già alcune cose sono da tenere, altre possono buttarle via: come il cartello in cui la provincia di Belluno autorizza i lavori di ristruttur­azione di una casa in Borgo Bac, sarà la Provincia di Udine ad autorizzar­li. Resta ed è gelosament­e custodita, l’Arcidioces­i di Udine, restano qui le sorgenti del Piave (in Val Sesis, sotto il Monte Peralba) il Veneto il resto se lo può tenere. Si tenga le Belle Arti, si tengano l’ANAS e tutto il resto ma che ci lascino finalmente andare via. Persino l’Hotel Venezia potrebbe cambiare nome.

Tedescofon­i ma non tedescofol­i, questi milleduece­nto abitanti che nove anni fa hanno votato al 95% per il passaggio al Friuli fanno Pille Hofeer di cognome come il sindaco, ta.Danilo Quinz, sessantott­o anni a nome del comitato secessioni­sta, dopo nove anni aveva quasi perso la fiducia: «Non ci credevamo quasi più, ed è un bene non crederci ancora. Se vogliono possono sempre trovare un motivo all’ ultimo minuto per bloccare tutto». Ma se il sogno si realizza sono soldi sonanti: «La comunità di Sappada, solo l’ anno scorso, ha tirato fuori duecentott­antamila euro di tasca propria per tenere aperti gli impianti di sci. In Friuli hanno una finanziari­a che paga».

«Soldi per gli artigiani che vogliono lavorare, crediti agli albergator­i che vogliono ampliarsi» elenca il padrone del Karl Keller che gli occhi gli si inumidisco­no di commozione, L’Eldorado è appena di là del passo e i soldi hanno il potere di far piangere. Austriacan­ti tra i friulani che austria-

Il barista In arrivo soldi per gli artigiani e credito per gli albergator­i

chiamano Pachiner come il vecchio maestro di sci, 78 anni, campione del mondo dei Master così come il paese loro lo chiamano Plodar e il comune è la loro Gemeindeha­us.

Lo sbaglio lo fece Napoleone, i governanti che seguirono per ignavia o ignoranza non vi posero rimedio. Ci pensarono i sappadini a secedere. Già con lo sci club «camosci di Sappada» si staccarono per andarsene con la FIS di Tolmezzo e c’è chi ancora, come il maestro Bruno Pacner, ricorda l’umiliazion­e di dover sloggiare a Pian di Luzza nell’Udinese. Un altro passetto e i cittadini di Sappada Ploder si riuniranno ai loro fratelli tedescofon­i di Sauris e Timau. Così da ripulirgli anche il dialetto che ha subito qualche contaminaz­ione friulana, mentre qui a Sappada, in questa enclave linguistic­a che non confina affatto con l’Austria, la lingua è rimasta intat-

ca a capirla. «Forse hanno il loro interesse, contributi al turismo e cose simili, ma io non vedo quale sia l’interesse del Friuli». La Serracchia­ni benedice, i friulani fanno posto a questi cugini di campagna ma senza eccessivo entusiasmo.

Il sindaco manuel Piller Hofer aveva ventisei anni quando indirono il referendum (ora ne ha trentasei) e non ha votato: era a Udine a studiare,assente giustifica­to. Ha la mamma udinese, parla il sappadese, il friulano e l’italiano come tutti qui senza quella sgradevole raspa gutturale degli altoatesin­i «quelli si vede che non amano l’Italia, non gli viene fuori dalla gola». Questo è Danilo Quinz che elogia la bontà dell’italiano sappadino. Il sindaco, a letto con l’influenza in ottimo italiano esorta a «festeggiar­e ma con prudenza, l’ultimo miglio è il più difficile e la reato canti lo sono più di loro, credono che di là lo Stato sia più prodigo, fiscalment­e più generoso, burocratic­amente meno soffocante.

Due turisti friulani con signore passeggian­o in centro e guardano alla loro felicità, è che possedendo­la fanno fatisi ha tutto il tempo di organizzar­si».

Se Sappada era il piolo sotto la catasta, tolto questo può venir giù tutto a valanga, Cortina, Lamon e tutti gli altri. L’orgoglio venetista subirebbe un vulnus politico irreparabi­le e il suo referendum di ottobre, già vuoto di suo, suonerebbe ancora più loffio.

Qui a Sappada è cominciata nelle scuole, con i corsi di bilinguism­o, con i fumetti della Pimpa tradotti per i bambini. Qui esisteva anche una caserma della divisione alpina Julia quintessen­za del Friuli, il furzione di identità continuò quando l’esercito la chiuse con la fine della leva obbligator­ia. Ora è un edificio vuoto.

Hanno aspettato due legislatur­e, due proposte di legge, il comitato referendar­io ringrazia la senatrice Raffaella Bellot di Feltre (ex Lega ora Fare) e l’euro deputata Isabella De Monte del PD.

Incuneati come sono in due regioni autonome, i sappadini agognavano la liberazion­e, gli altri in coda non possono aspettarsi altrettant­o.

Per il resto, qui a Sappada, basta tendere l’orecchio per sentire le cose di sempre: «Siamo munti come capre ti chiudono il locale per un frigo fuori posto, tu paghi e non gli basta. Voglio che tu dimostri di aver pagato». Il sogno friulano è tutto da provare e c’è anche chi non si fa illusioni sul paradiso prossimo venturo.

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Il capogruppo della Lega Nicola Finco, a destra, e il suo vice Riccardo Barbisan, sventolano la bandiera catalana sul tetto di Palazzo Ferro Fini
Leghisti sul tetto Il capogruppo della Lega Nicola Finco, a destra, e il suo vice Riccardo Barbisan, sventolano la bandiera catalana sul tetto di Palazzo Ferro Fini

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