L’aquila in piazza e la paura dell’ultimo miglio
SAPPADA (BELLUNO)Prima della neve, dolce e leggera, è arrivata la secessione. Piccola, regionale eppur rumorosa e pesante. Tanto che l’architrave dell’integrità territoriale veneta cigola sinistramente sotto il peso del voto di ieri mattina al Senato. Sappada è in festa. E il contrappasso pagato da Zaia è beffardo, chi di autonomia ferisce di autonomia perisce. Sul bar Karl Keller hanno issato la bandiera con l’aquila rampante del Friuli (la testa girata a destra in campo rosso segno di pace, se guarda a sinistra è guerra), si stappa Tocai friulano, si brinda al ritorno a casa.
Meno tasse, più contributi, i bicchieri hanno il suono tintinnante dei soldi che ci si aspetta arrivino generosi e grati. «In barba ai gufi, alla faccia di chi ci dava per morti». «Alla faccia del traditore Sonego» (l’onorevole di Pordenone che in aula ha votato contro, l’unico). «Onore e fedeltà alla nuova casa la prodiga e vicina regione Friuli. Poi, nei fatti, il bicchiere resta a metà, svuotarlo porta sfortuna dal momento che manca ancora un passaggio alla Camera. Si temono imboscate, colpi di coda. Ci si saluta alla friulana, «mandi».
Qui a Sappada già alcune cose sono da tenere, altre possono buttarle via: come il cartello in cui la provincia di Belluno autorizza i lavori di ristrutturazione di una casa in Borgo Bac, sarà la Provincia di Udine ad autorizzarli. Resta ed è gelosamente custodita, l’Arcidiocesi di Udine, restano qui le sorgenti del Piave (in Val Sesis, sotto il Monte Peralba) il Veneto il resto se lo può tenere. Si tenga le Belle Arti, si tengano l’ANAS e tutto il resto ma che ci lascino finalmente andare via. Persino l’Hotel Venezia potrebbe cambiare nome.
Tedescofoni ma non tedescofoli, questi milleduecento abitanti che nove anni fa hanno votato al 95% per il passaggio al Friuli fanno Pille Hofeer di cognome come il sindaco, ta.Danilo Quinz, sessantotto anni a nome del comitato secessionista, dopo nove anni aveva quasi perso la fiducia: «Non ci credevamo quasi più, ed è un bene non crederci ancora. Se vogliono possono sempre trovare un motivo all’ ultimo minuto per bloccare tutto». Ma se il sogno si realizza sono soldi sonanti: «La comunità di Sappada, solo l’ anno scorso, ha tirato fuori duecentottantamila euro di tasca propria per tenere aperti gli impianti di sci. In Friuli hanno una finanziaria che paga».
«Soldi per gli artigiani che vogliono lavorare, crediti agli albergatori che vogliono ampliarsi» elenca il padrone del Karl Keller che gli occhi gli si inumidiscono di commozione, L’Eldorado è appena di là del passo e i soldi hanno il potere di far piangere. Austriacanti tra i friulani che austria-
Il barista In arrivo soldi per gli artigiani e credito per gli albergatori
chiamano Pachiner come il vecchio maestro di sci, 78 anni, campione del mondo dei Master così come il paese loro lo chiamano Plodar e il comune è la loro Gemeindehaus.
Lo sbaglio lo fece Napoleone, i governanti che seguirono per ignavia o ignoranza non vi posero rimedio. Ci pensarono i sappadini a secedere. Già con lo sci club «camosci di Sappada» si staccarono per andarsene con la FIS di Tolmezzo e c’è chi ancora, come il maestro Bruno Pacner, ricorda l’umiliazione di dover sloggiare a Pian di Luzza nell’Udinese. Un altro passetto e i cittadini di Sappada Ploder si riuniranno ai loro fratelli tedescofoni di Sauris e Timau. Così da ripulirgli anche il dialetto che ha subito qualche contaminazione friulana, mentre qui a Sappada, in questa enclave linguistica che non confina affatto con l’Austria, la lingua è rimasta intat-
ca a capirla. «Forse hanno il loro interesse, contributi al turismo e cose simili, ma io non vedo quale sia l’interesse del Friuli». La Serracchiani benedice, i friulani fanno posto a questi cugini di campagna ma senza eccessivo entusiasmo.
Il sindaco manuel Piller Hofer aveva ventisei anni quando indirono il referendum (ora ne ha trentasei) e non ha votato: era a Udine a studiare,assente giustificato. Ha la mamma udinese, parla il sappadese, il friulano e l’italiano come tutti qui senza quella sgradevole raspa gutturale degli altoatesini «quelli si vede che non amano l’Italia, non gli viene fuori dalla gola». Questo è Danilo Quinz che elogia la bontà dell’italiano sappadino. Il sindaco, a letto con l’influenza in ottimo italiano esorta a «festeggiare ma con prudenza, l’ultimo miglio è il più difficile e la reato canti lo sono più di loro, credono che di là lo Stato sia più prodigo, fiscalmente più generoso, burocraticamente meno soffocante.
Due turisti friulani con signore passeggiano in centro e guardano alla loro felicità, è che possedendola fanno fatisi ha tutto il tempo di organizzarsi».
Se Sappada era il piolo sotto la catasta, tolto questo può venir giù tutto a valanga, Cortina, Lamon e tutti gli altri. L’orgoglio venetista subirebbe un vulnus politico irreparabile e il suo referendum di ottobre, già vuoto di suo, suonerebbe ancora più loffio.
Qui a Sappada è cominciata nelle scuole, con i corsi di bilinguismo, con i fumetti della Pimpa tradotti per i bambini. Qui esisteva anche una caserma della divisione alpina Julia quintessenza del Friuli, il furzione di identità continuò quando l’esercito la chiuse con la fine della leva obbligatoria. Ora è un edificio vuoto.
Hanno aspettato due legislature, due proposte di legge, il comitato referendario ringrazia la senatrice Raffaella Bellot di Feltre (ex Lega ora Fare) e l’euro deputata Isabella De Monte del PD.
Incuneati come sono in due regioni autonome, i sappadini agognavano la liberazione, gli altri in coda non possono aspettarsi altrettanto.
Per il resto, qui a Sappada, basta tendere l’orecchio per sentire le cose di sempre: «Siamo munti come capre ti chiudono il locale per un frigo fuori posto, tu paghi e non gli basta. Voglio che tu dimostri di aver pagato». Il sogno friulano è tutto da provare e c’è anche chi non si fa illusioni sul paradiso prossimo venturo.