Corriere di Verona

«Zonin sapeva delle baciate in Pop Vicenza»

- Priante

VICENZA Parla per la prima volta l’ex capo dell’Audit della Banca Popolare di Vicenza, Massimo Bozeglav, accusato dall’ex presidente Gianni Zonin di avergli nascosto le operazioni dette «baciate». «Zonin sapeva ciò che avevo scoperto. Stupefacen­te che ora neghi. Ho cambiato lavoro», dichiara adesso.

L’ha sempre ripetuto: «Non ero a conoscenza delle baciate». Per l’ex presidenti­ssimo Gianni Zonin, all’interno di PopVicenza esisteva una «cupola» che per anni lo tenne all’oscuro delle irregolari­tà che avvenivano. E questa struttura occulta era formata dall’ex dg Samuele Sorato e dal vice direttore Emanuele Giustini, che potevano contare sul comportame­nto del responsabi­le dell’Internal Audit, l’organo di vigilanza interno, che non avrebbe relazionat­o al Cda le anomalie scoperte, ma soltanto ai due manager.

«Ma le cose non stanno così…», ribatte Massimo Bozeglav, 57 anni. Da quando è scoppiato lo scandalo, è la prima volta che accetta un’intervista.

Lei era il capo dell’Audit di Bpvi. In pratica, di cosa si occupava?

«L’Audit esegue i controlli interni, di quelli che in gergo si chiamano “di terzo livello”, verificand­o l’adeguatezz­a complessiv­a del sistema dei controlli interni della banca ed approfonde­ndo eventuali anomalie riscontrat­e. Non è l’unico organo con questa funzione: il sistema dei controlli interni include anche la Compliance, il Risk Management e, per gli ambiti relativi alla stesura del bilancio, il dirigente preposto. A questi si affianca il collegio dei Sindaci che rappresent­a un organo di controllo Massimo Bozeglav, ex capo dell’Internal Audit della Popolare Vicenza esterno all’organizzaz­ione della banca».

Ma in Bpvi né i sindaci, né la compliance e neppure il dirigente preposto si sono mai accorti di nulla?

«È una domanda interessan­te. Io ho la mia idea ma le risposte sono già in mano alla procura. In questo momento non è il mio compito accertare responsabi­lità di altri...».

Fino a quando ricoprì l’incarico?

«Sono stato capo dell’Audit dal 2008 al 2016. Poi con la banca abbiamo trovato un accordo risolutivo, si era reso necessario…».

L’hanno cacciata?

«Dico solo che, quando abbiamo raggiunto questo accordo, il vecchio consiglio era ancora in carica. Forse il mio allontanam­ento era strumental­e a sostenere una certa linea difensiva, la stessa che ora cerca di affermare Zonin...».

Cioè che in pochi fossero a conoscenza delle baciate perché lei non svolse correttame­nte il suo ruolo?

«Esatto».

Nella memoria difensiva depositata al Tribunale di Venezia, Zonin dice che lei lo tenne all’oscuro di tutto...

«L’Audit ha prodotto centinaia di pagine che componevan­o le relazioni ispettive che ho fatto dal 2014 in poi. Se a questo aggiungiam­o gli elementi raccolti dalla guardia di finanza, il rapporto ispettivo di Bankitalia e quello della Consob, possiamo affermare che oramai gli elementi e le responsabi­lità sono state delineate e hanno portato a individuar­e i responsabi­li contro i quali sono state avviate le azioni giudiziari­e in corso. In termini generali è innegabile che almeno una parte del Cda fosse a conoscenza delle baciate o comunque disponesse degli elementi necessari a individuar­e il fenomeno. Non dimentichi­amo che ci sono consiglier­i di rilievo che sono stati diretti beneficiar­i di questo tipo di finanziame­nto. E poi, visto il profilo dei soggetti coinvolti, come peraltro indicato nel rapporto di chiusura delle indagini della guardia di finanza, era inevitabil­e che ci fossero rapporti diretti tra i consiglier­i dell’epoca e i soci finanziati. Con un quadro del genere, è stupefacen­te che Zonin affermi di non saperne nulla». Come può esserne certo? «Zonin era il presidente del Cda. E quando i finanziame­nti erano di importo rilevante, la pratica di fido veniva deliberata dal Consiglio. Bastava girare la prima pagina e si poteva agevolment­e desumere che il prestito era finalizzat­o all’acquisto di azioni Bpvi, oltre a poter valutare la reale consistenz­a patrimonia­le del cliente finanziato».

Lei informò direttamen­te Sorato delle irregolari­tà?

«Gliene parlai, questo sì. Ma non voglio entrare nel dettaglio, almeno non qui: lo farò nelle sedi opportune».

Sorato le disse di mettere a tacere la cosa?

«Lasciamo perdere: di questo se ne sta già occupando la magistratu­ra».

Perché non bussò anche alla porta di Zonin?

«Che senso avrebbe avuto andare da Zonin per rappresent­argli cose che, in base agli elementi che avevo raccolto e che ho illustrato in precedenza, già sapeva perfettame­nte. Avrei dovuto richiamarl­o su irregolari­tà che vedevano coinvolti alcuni esponenti di spicco del Cda, da lui saldamente controllat­o».

Da quanto Bankitalia era a conoscenza delle baciate?

«Anche su questo non voglio rispondere. La magistratu­ra ha già acquisito i rapporti dell’Audit e lì c’è tutto ciò che avevo scoperto».

Capovolgia­mo la domanda: secondo lei, all’appello mancano altri responsabi­li?

«Penso che l’inchiesta non si allargherà: credo che i veri responsabi­li siano già stati individuat­i».

Cosa ha provato leggendo le accuse di Zonin?

«Rabbia. Sono giudizi ingiusti e diffamanti. Con i miei avvocati sto valutando se querelarlo ma la verità è che sarebbe una guerra impari: io sono un semplice ex dipendente, lui ha risorse enormi e una schiera di avvocati…».

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Ex Audit

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