Il caso Aida ora spacca il centrodestra
Arena, Casali chiede la testa del sovrintendente
Esponenti di primo piano della maggioranza come Stefano Casali chiedono la testa del sovrintendente della Fondazione Arena Giuliano Polo (che Sboarina pensa a riconfermare) dopo la trasferta dell’Aida in Russia annullata.
Il caso Russia si complica, e c’è un nuovo colpo di scena. Dopo lo scontro tra Flavio Tosi e il sovrintendente Giuliano Polo sulla mancata trasferta a San Pietroburgo della Fondazione lirica, il consigliere regionale Stefano Casali, leader del gruppo Verona Domani, chiede che il sovrintendente Giuliano Polo se ne vada al più presto e che la Fondazione lirica trovi un nuovo management.
Casali è parte fondamentale della maggioranza che ha portato all’elezione a sindaco di Federico Sboarina. E Sboarina ha più volte elogiato Polo, in pratica facendo pensare ad una sua riconferma, anzi, praticamente annunciandola. Si apre una prima crepa nella compagine che finora ha marciato compatta dopo l’elezione del giugno scorso. L’attesissimo confronto tra sovrintendente e gruppi politici consiliari (rinviato da lunedì a mercoledì prossimo, per impegni di Polo a Roma) diventa a questo punto uno snodo fondamentale per tutta la politica cittadina.
Ma partiamo dalla novità di ieri. In un comunicato, firmato da Stefano Casali ma anche dai consiglieri regionali Andrea Bassi, dal leghista Alessandro Montagnoli, dal padovano Luciano Zandonà (Lista Zaia) e da Stefano Valdegamberi (Gruppo Misto), si afferma che «prima finisce l’esperienza veronese di Giuliano Polo, meglio sarà». E Casali spiega in maniera assolutamente decisa che «Verona è una capitale mondiale della lirica. Occorre una selezione internazionale che punti a portare alla Fondazione lirica il meglio che esiste in questo settore: va chiuso quindi il periodo del commissariamento – conclude – e quindi va ringraziato e salutato chi è stato qui finora. Dopo di che, guardando avanti, è il momento delle scelte».
Da rilevare che tutti i firmatari sono considerati molto vicino al mondo russo (attivissimo, su questo fronte, Stefano Valdegamberi) e che proprio Luciano Sandonà è il presidente dell’associazione culturale Veneto-Russia. Nel comunicato, si ricorda come «la trasferta a san Pietroburgo con l’allestimento dell’Aida sarebbe stata accolta dalla popolazione e istituzioni russe come chiaro segnale di dialogo, capace di superare le posizioni europee sulle sanzioni. E se il sovrintendente non lo comprende dimostra limiti evidenti, perché quella mancata missione ha creato un danno il cui costo non è facilmente quantificabile».
Conclusione secca: «Giuliano Polo, giunto a Verona sulla scorta di accordi tra il ministro Franceschini e l’allora sindaco Tosi, prima finisce la sua esperienza veronese meglio è». Nella bufera s’inserisce al volo Flavio Tosi, spiegando che «il tentativo di accostare il sottoscritto a Polo, è quanto di più infondato ci possa essere, visto che lui fu nominato dal professor Fuortes, il quale a sua volta è espressione del ministro Franceschini, con una scelta mai condivisa dalla scrivente». Secondo l’ex sindaco, peraltro, i consiglieri seguaci di Zaia «parlano con la nuora, perché la suocera intenda, nel senso che probabilmente mirano ad impedire che lo zaiano Sboarina confermi Polo nel suo ruolo, cosa che il sindaco ha ripetutamente affermato di voler fare».
Al sovrintendente arriva invece la piena solidarietà di Michele Bertucco, secondo il quale «se la Fondazione Arena ha la possibilità di un futuro è proprio grazie al lavoro fatto dai commissari Fuortes prima e Polo poi, sulle macerie create da lui e dall’ex Sovrintendente Girondini. E senza l’uso delle scorciatoie di contabilità creativa di Girondini in occasione del trasferimento dell’archivio bozzetti e figurini da Fondazione Arena ad Arena Extra su cui si concentra più di una inchiesta.
Giusto ieri, a proposito della mancata trasferta russa, all’origine del pandemonio attuale, il sovrintendente Polo ha precisato che la decisione di aggiungere al costo della trasferta quello di tutto il personale dipendente, compresi gli amministrativi, «non era affatto una captatio benevolentiae nei confronti dei sindacati: i 52 giorni di sospensione delle attività per i dipendenti – ha spiegato - fanno parte di un accordo collettivo ritenuto condizione necessaria per accedere ai fondi della Bray, e la mia decisione è stata legata ad una espressa previsione di un contratto collettivo stipulato nel giugno 2016, prima del mio arrivo: un accordo collettivo allegato al piano di risanamento e condizione per potere accedere ai fondi». Quindi: se rientrano i dipendenti al lavoro, deve pagarli qualcun altro.