Ippopotamo, il pm: Zanini a processo
«Non rilasciavano scontrini per evadere le imposte», arriva il conto della procura
Evasione fiscale all’Ippopotamo: il caso non è chiuso. Tutt’altro. E stamane, a distanza di due anni dal clamoroso arresto del ristoratore Roberto Zanini e dal simultaneo sequestro del noto locale sul Liston con vista in piazza Bra, la vicenda finisce al centro dell’udienza preliminare in programma davanti al giudice Livia Magri. Una storia che destò scalpore: all’epoca, nel 2015, scattarono i domiciliari per il gestore e i sigilli sull’esercizio pubblico.
Evasione fiscale all’Ippopotamo: il caso non è chiuso. Tutt’altro. E stamane, a distanza di due anni dal clamoroso arresto del ristoratore Roberto Zanini e dal simultaneo sequestro del noto locale sul Liston con vista in piazza Bra, la vicenda finisce al centro dell’udienza preliminare in programma davanti al giudice Livia Magri.
Una storia che destò scalpore: all’epoca, i domiciliari per il gestore e i sigilli sull’esercizio pubblico (che comunque continuò regolarmente a funzionare) scattarono perché il 54enne, in qualità di legale rappresentante della «Zanini Ristorazione srl» avrebbe secondo l’accusa «indicato nelle dichiarazioni annuali relative agli anni d’imposta 2008-2012 elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo, con conseguente evasione d’imposte Ires e Iva pari a complessivi 857mila 808,61 euro».
In base al capo d’imputazione originario, il pm Giulia Labia contestava al ristoratore che gli elementi attivi non dichiarati consistevano in maggiori ricavi conseguiti «in nero», senza emissione di scontrino fiscale, nella gestione dell’attività: di qui, il sequestro preventivo per equivalente che era stato disposto sottoponendo a vincolo varie quote societarie di proprietà di Zanini e riguardanti diverse società, tra cui appunto la Zanini srl.
Da allora, tuttavia, la situazione è ampiamente cambiata: dopo l’interrogatorio davanti al gip, Zanini tornò in libertà nel giro di una settimana; quanto al ristorante, gli venne restituito a distanza di un mese dal Tribunale del Riesame «per l’assenza di esigenze cautelari». Il motivo? «Prima ancora dell’emissione delle misure cautelari, sia personali che reali, in data 25 marzo 2015 Zanini aveva raggiunto un accordo con l’Agenzia delle Entrate di Verona sottoscrivendo un accertamento con adesione riguardo alle evasioni relative agli anni di imposta 2005-2009 e impegnandosi a versare le somme dovute all’ufficio finanziario in 12 rate trimestrali» scrivevano i magistrati nell’ordinanza con cui disposero che venissero rimossi i sigilli da beni e azioni della Zanini srl. Secondo il Tribunale, «visto che Zanini sta pagando il debito tributario, sia pure in forma rateale, e che l’intento di regolarizzare la posizione fiscale e di pagare i debiti tributari si è concretizzato ancor prima di essere raggiunto dalle misure cautelari, e dunque in tempi non sospetti, si può formulare una prognosi positiva circa l’integrale pagamento del debito tributario nei tempi concordati con conseguente non necessità di procedere ad alcuna confisca in sede di merito. Nello stesso tempo, si può ritenere per l’atteggiamento confessorio e collaborativo dell’imputato che non vi sia il pericolo che egli si adoperi per sottrarre beni a una eventuale e solo ipotetica confisca». Riottenuti beni e quote, Zanini è comunque rimasto indagato e oggi, difeso dall’avvocato Monica Rizzi, dovrà rispondere di evasione fiscale per la sola annata 2011 (sulle precedenti è intervenuta la prescrizione): il «conto» che gli presenta la procura è suddiviso tra Ires (51.547 euro) e Iva (70.975 euro). Per l’accusa, si sarebbe avvalso di «una falsa rappresentazione nelle scritte contabili obbligatorie». E rischia il processo.