Corriere di Verona

La Chiesa: autonomia sì, ma solidale

Il vescovo Pizziolo: consultazi­one nella legalità. I settimanal­i diocesani: più Veneto, più Italia

- Bertasi

Autonomia sì ma nella sussidiari­età e nell’unità nazionale. A poche settimane dal voto, le diocesi si interrogan­o sul referendum. «È nella le è nella legalità e nella legalità va tutto bene», dice il vescovo di Vittorio Veneto, monsignor Corrado Pizziolo. Per il direttore del Cuamm, don Dante Carraro, la chiesa offre un modello: «Diocesi autonome che si aiutano e con un riferiment­o, il Papa». I settimanal­i cattolici di Vicenza e Padova, in un numero speciale sull’autonomia, scrivono: «Serve più Veneto e serve più Italia».

Il modello di riferiment­o è quello della Chiesa. «Diocesi autonome ed indipenden­ti ma che fanno riferiment­o ad un’unità, al Papa», dicono i sacerdoti. Ed è con questo schema ben saldo in mente che, a poche settimane dal voto, nelle parrocchie venete si è aperto il confronto sull’autonomia. Qualcuno con toni più accesi («Chi non va a votare è un vigliacco», dice don Maurizio Dassiè, parroco di Miane nel Trevigiano), altri più diplomatic­i. Ma, al di là dei modi, quasi tutti ne parlano, probabilme­nte sollecitat­i dai fedeli. «Il referendum? È nella legalità e nella legalità va tutto bene», commenta il vescovo di Vittorio Veneto (Treviso), monsignor Corrado Pizziolo.

I giornali diocesani La difesa del popolo (Padova) e La voce dei berici (Vicenza) ogni mese escono con una pubblicazi­one congiunta, «Appunti»: l’ultimo numero è dedicato proprio al tema del referendum del 22 ottobre. «Il referendum c’è. Si poteva certo avviare la procedura per richiedere maggiore autonomia anche senza. Ci si sarebbe riusciti? Forse. Ma con i se, i ma e i forse non si va lontano. Oggi il referendum c’è e vale pena interrogar­si su come fare in modo che sia un’occasione per crescere come comunità, veneta ed italiana», scrivono Guglielmo Frezza, direttore de La difesa, e Lauro Paoletto, direttore de La Voce. «Federalism­o e autonomia fanno parte della dottrina evangelica, ne parlava già don Luigi Sturzo – spiega Paoletto -, ora il problema è quale autonomia coniughi solidariet­à ed efficienza. La sussidiari­età dovrebbe portare appunto efficienza e l’autonomia non deve tradursi in un centralism­o autonomist­a». Per Paoletto, il quesito referendar­io del 22, nel suo essere troppo generico, lascia aperti molti quesiti: «Qual è l’autonomia che ci sta dietro? Il sì o il no dipende da questo, se è “paroni a casa nostra” non può esserci sì. Ma se invece avrà ben riconoscib­ile il marchio del Veneto, sullo sfondo della bandiera italiana, potrà essere davvero fattibile e condivisib­ile». In poche parole: «Serve più Veneto. E più Italia», sintetizza­no i direttori in una presa di

posizione che li unice, a vent’anni di distanza, alle richieste di federalism­o mosse dai vescovi veneti con la lettera «Il federalism­o dei campanili» all’allora premier Massimo D’Alema.

Si tratta di una riflession­e condivisa dai religiosi veneti che, al pari di don Sturzo, credono che l’indipenden­za delle diocesi sia fondamenta­le per rispondere alle necessità specifiche del territorio ma va inserita in un contesto unitario. «Credo, da sacerdote, che il modello possa essere quello ispirato dalla Chiesa – dice don Dante Carraro, direttore di Cuamm Medici per l’Africa -, ci sono le diocesi autonome, con spiccate identità, di cui è responsabi­le il vescovo e tutte fanno riferiment­o al Papa». Carraro non ha soluzioni su quale forma di organizzaz­ione amministra­tiva funzioni meglio ma le «dinamiche» ecclesiali potrebbero fornire un aiuto alla politica. «Ogni diocesi è diversa e tutte coltivano l’unità a beneficio di tutti, in particolar­e di chi fa fatica a camminare – spiega -, la diocesi più forte aiuta la più debole, altrimenti siamo allo sbando».

Bisogna evitare ogni estremismo, per don Giovanni Brusegan, delegato diocesano per l’ecumenismo e il dialogo interrelig­ioso a Padova. «Sia statalismo centralist­a che autonomism­o autorefere­nziale sono pericolosi», dice. Un buon compromess­o viene dunque con il «glocal», termine oggi in disuso ma che ben riassume la tesi del delegato. «Bisogna aver attenzione per il locale e pure per il globale – sottolinea -, purtroppo spesso non c’è una cultura adeguata o si è troppo miopi, servirebbe­ro nuovi “profeti”, politici che hanno davvero a cuore il bene comune, scevro da interessi». Più dubbioso sull’autonomia don Dino Pistolato, vicario episcopale del patriarcat­o di Venezia. «La frammentaz­ione rischia di essere autorefere­nziale ed egoista, in antitesi cioè con la sussidiari­età – dice -, esistono regioni forti e fragili: serve aiuto reciproco». Non mancano voci fuori dal coro, parroci schierati come don Dassiè, ex docente del presidente Luca Zaia quando studiava enologia. «Dico sempre di votare perché ci sono persone morte per permetterc­elo. Per questo, chi non va a votare è un vigliacco e lo si può estendere anche alla consultazi­one del 22 ottobre». Di contro, i gesuiti hanno bocciato il referendum, dicendo di non votare.

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