Palazzo Forti, l’arte formosa di Fernando Botero
Inaugurata a Palazzo Forti la mostra del pittore colombiano. Una carrellata sulla produzione recente, con un’incursione sugli anni giovanili. «Ho ricordi lontani e fantastici di questa città. L’ispirazione? Viene da Giotto e Piero della Francesca»
«Ho passato a Verona due bellissime giornate, con una meravigliosa passeggiata lungo l’Adige, era sessantacinque anni fa...». Sono i ricordi di Fernando Botero - 85 anni lo scorso aprile - l’artista di origini colombiane conosciuto in tutto il mondo per i suoi formosi personaggi dagli occhi tondi spalancati. Ieri Botero, tornato a Verona per la prima volta dopo quella passeggiata sul fiume, ha preso parte al Museo Amo di Palazzo Forti all’inaugurazione della sua mostra monografica, la prima nella nostra città, come ha ricordato con orgoglio. Curata da Rudy Chiappini, organizzata da Arthemisia Group con Mondo Mostre di Skira e con il patrocinio del Comune di Verona, rientra nel programma di mostre (Tamara de Lempicka, Picasso e Toulouse Lautrec da poco conclusa) volute dalla Fondazione Arena e resterà aperta fino al 25 febbraio. «Un evento dalla forte rilevanza artistica – ha detto l’assessore alla Cultura Francesca Briani –, che si inserisce nella già variegata offerta di proposte culturali promosse, in questo periodo autunnale, dai musei civici cittadini. Verona, città turistica di rilievo, è infatti in grado di presentare, nell’ambito dell’arte moderna e contemporanea, Dalla Colombia Fernando Botero ieri a Palazzo Forti davanti a due sue opere in mostra iniziative diverse e interessanti che appassioneranno il pubblico».
Una carrellata di circa cinquanta opere, dagli anni 90, con qualche assaggio della produzione dei decenni precedenti e con un interessante af- fondo negli anni 50: due opere che raccontano Botero come non l’abbiamo mai visto. La sua «Ragazza perduta in un giardino» del 1959, già con la caratteristica dilatazione dei volumi che sarebbe rimasta fino ad oggi la cifra stilistica del pitto-
re, esprime una profonda inquietudine nello sguardo assorto. Nei dipinti successivi quel mondo interiore si è perso: l’umanità di Botero si ripete nella fissità degli sguardi, «privi di stati d’animo riconoscibili», come scrive il curatore Rudy Chiappini. «La storia della pittura si divide in due grandi filoni – ha spiegato Botero -: quello dove si affronta la personalità
umana e quella dove le tipologie si ripetono, come accade nell’arte egiziana, ma anche in quella greca o di Piero della Francesca. È qualcosa che risponde a una filosofia, a un modo di pensare e di vedere il mondo». L’incontro con Piero, Masaccio e Giotto, «i pittori che hanno inventato la possibilità di raccontare il volume su uno spazio bidimensionale» è avvenuto negli anni Cinquanta
a Firenze, dove Botero, ventenne, ha raccontato di essere
rimasto a vivere per due anni.
«L’impassibilità» dell’arte egizia, le immagini della cultura precolombiana, l’arte italiana, i maestri spagnoli: tutto questo ha concorso nella sua ispirazione a creare quella sua speciale tipologia umana. La mostra, divisa in dieci sezioni tematiche - i dipinti ispirati ai maestri, le nature morte, il mondo del circo, il mondo latino-americano, la politica con i suoi ridicoli generali, la corrida, la religione, i nudi - celebra sessant’anni di carriera, la prima
natura morta è infatti del 1956. «La ricerca di un proprio stile – ha spiegato Chiappini – si è unita a una grande perizia: la sua è infatti una pittura molto più complessa di quanto appaia, il suo universo è basato sull’equilibrio tra valori espressivi
e maestria esecutiva». Tutte le info sull’esposizione nel sito mostrabotero.com