La Fondazione Arena, il nuovo integrativo e il timore che sia come il vecchio
La Fondazione Arena di Verona (Fav per brevità) ha deliberato il nuovo Contratto Integrativo Aziendale. Ora, dopo l’accordo intervenuto tra le parti, il medesimo è al vaglio della Corte dei Conti. Due anni fa (novembre 2015) scrivevamo su queste pagine che tali contratti erano «Positivi nella loro specificità ideativa ma spesso purtroppo hanno anche rappresentato l’anello debole della mala gestio dei teatri italiani alla cui testa ci sono spesso dirigenti incapaci di gestire secondo criteri aziendali (il Contratto Integrativo è accompagnato dall’aggettivo “aziendale” appunto)». La notizia dell’approvazione è passata sotto silenzio, e questo induce a pensare che l’accordo soddisfa entrambe le parti, il Sovrintendente e le parti sociali. Non abbiamo assistito cioè, come accaduto in passato e come talvolta accade in fase di contrattazione in altre realtà lavorative, a prese di posizioni dure, contrapposizioni, accuse, scioperi nei casi più estremi. Nulla di tutto ciò. Una domanda: non è che, magari, si è rifirmato il vecchio Integrativo come nuovo, alle stesse condizioni e con le stesse caratteristiche del vecchio anche se i tempi e le risorse pubbliche non sono più quelle di prima?
I nostri lettori ricordano le analisi su queste pagine dal 2015 appunto per sottolinearne i contenuti, le fragilità e alcune evidenze che stonano in tempi di contenimento dei costi e rispetto al trattamento di altre professioni in tempi difficili. Il suo rinnovo, pertanto, doveva essere uno dei momenti fondanti di questa nuova Fav che si avvia al dopo commissariamento, e ne sancirà le regole in regime ordinario. Come sappiamo l’Integrativo regola molte cose, dagli orari di lavoro, alle ferie, le indennità, il Pdr ecc. Diciamo subito in premessa che i dipendenti dei teatri devono avere una giusta remunerazione, uno stipendio dignitoso che li appaghi e li rassereni affinché siano messi nelle condizioni ottimali per espletare con bravura la loro missione di artisti. Vedere i dipendenti costretti ad aggrapparsi a mortificanti indennità del tipo «Indennità di disagiato lavoro all’aperto», «Indennità lingua straniera per il Coro» (Carmen è in francese, 50% della paga giornaliera in più), «Indennità sinfonica» (i concerti sinfonici al Teatro Filarmonico, 100% della paga giornaliera in più) fa male sia alla idealità della professione sia alla dignità del musicista e ci auguriamo che almeno questo mercanteggio sia sparito nel «nuovo» Integrativo appena deliberato. Il Teatro alla Scala aveva posto fine a tutto questo nel 1996 al momento della trasformazione
in Fondazione, aggiungendo a quanto già stabilito dal Ccnl (il contratto nazionale), cioè la 14^ mensilità e il Premio di produzione, anche una seconda premialità legata alla produttività di ogni singolo dipendente denominata “Premio risultato” con un costo complessivo per gli 800 dipendenti di 4,8 milioni di euro nel 2016. A margine: è circa lo stesso costo che abbiamo in Fav ma per 280 dipendenti (più gli aggiunti estivi).
Alcune domande: avendo garantito tale importante esborso (nonostante la crisi debitoria) gli attuali vertici della Fondazione portano a casa almeno le mani libere per gestire non solo la quotidianità ma anche lo sviluppo e il rilancio dell’ente con scelte manageriali ed aziendali? Certamente i dipendenti sono appagati da quanto ottenuto nella trattativa ma la Fav come ente che produce che benefici ha ottenuto? Si è provveduto a modificare l’indennità di trasferta per favorire l’attività in sede regionale ed essere concorrenziali nelle trasferte internazionali? E l’orario multiperiodale che fine ha fatto? Ci sarà ancora da litigare ogni qualvolta ci sarà una registrazione radio-televisiva? E le prove di assestamento nelle tournée saranno ancora vincolate all’orologio? Qual è l’assetto moderno e funzionale volto ad acquisire nuovi spazi, aumentarne la produttività e porci sul mercato a costi competitivi che si è portato al tavolo della trattativa? Che se ne parli se tutto questo (e altro) è stato acquisito perché, purtroppo, l’assordante silenzio sulla cosa lascia molti nodi sul tappeto.