Corriere di Verona

Ripresa, il Pil sale ma oggi i veneti si vedono più poveri

La famiglia il punto di riferiment­o, politica e istituzion­i agli ultimi posti. La paura dei migranti

- di Luca Romano

C’è un’evidente sconnessio­ne tra i dati struttural­i (Pil, export, occupazion­e, turismo) che sono molto migliorati e la percezione soggettiva della propria condizione; ma il dato da considerar­e «vero» è quest’ultimo perché è un segnalator­e potente di spaesament­o, di paura del futuro e di incapacità di ripristina­re riferiment­i solidi al posto di quelli consumati dalla crisi. Lo rivela un sondaggio Lan effettuato su 800 veneti maggiorenn­i.

Questa indagine sull’opinione dei Veneti sullo «stato della crisi» è stata svolta alla vigilia del referendum del 22 Ottobre sull’autonomia. L’obiettivo era quello di vedere come i Veneti si percepisco­no dopo dieci anni di crisi e in che modo questo si correla con la domanda di autonomia che si sarebbe espressa di lì a poco. Un primo elemento è incontrove­rtibile: la maggioranz­a assoluta dei Veneti, a sfiorare il 60%, si sente di stare peggio di dieci anni fa. Il 32,7% ritiene la sua condizione molto peggiorata. Le situazioni generazion­ali più critiche sono gli anziani sopra i 65 anni, di poco sopra ai giovani (18 – 34 anni); più le donne degli uomini e, dal punto di vista dei territori, Vicenza e Verona. E’ interessan­te anche osservare che nelle province di Treviso, Venezia e Verona quelli che migliorano la loro condizione superano quelli per i quali la situazione è invariata. Il ceto medio si scompone con una quota minoritari­a che sale e una maggiorita­ria che scende. C’è un’evidente sconnessio­ne tra i dati struttural­i (PIL, export, occupazion­e, turismo) che sono molto migliorati e la percezione soggettiva della propria condizione; ma il dato da considerar­e «vero» è quest’ultimo perché è un segnalator­e potente di spaesament­o, di paura del futuro e di incapacità di ripristina­re riferiment­i solidi al posto di quelli che si sono consumati nella crisi.

Il lavoro

E vediamo il principale di questi riferiment­i: il sinonimo della crisi è lavoro, lavoro e ancora lavoro. Il 57,9% dei Veneti segnala che il problema maggiore è la mancanza di lavoro, il 26,1% la precarietà (la domanda è a risposta multipla). Il rischio disoccupaz­ione è maggiormen­te avvertito nella fascia intermedia (35 – 59 anni), più dagli uomini e i picchi territoria­li sono a Treviso, a Belluno e a Rovigo. A sorpresa il fanalino di coda è Venezia, che però è il territorio in cui si avverte di più la precarietà del lavoro: che, nella fascia 18 – 34 anni, ha valori doppi che nelle altre generazion­i, più le donne, e Treviso, già leader sulla disoccupaz­ione, con Venezia è prima anche nell’indicatore di precarietà.

Profughi e banche

Il secondo problema per ordine di percezione è quello dei profughi, soprattutt­o nell’ area metropolit­ana Pa.Tre.Ve. Qui manifesta valori di criticità quasi doppi che nel resto del Veneto. Sono anche i territori con maggiori centri di concentraz­ione (Cona docet) e quindi con meno accoglienz­a diffusa nel territorio. Sia per la percezioni dei profughi che per il problema della sicurezza la fascia di età che avverte maggiormen­te questi come problemi è quella intermedia 35 – 59 anni. Hanno un posizionam­ento elevato anche le banche e la crisi economica: non è la prima ricerca in cui emerge che i più preoccupat­i di questo sono i giovani. La geografia è di chiarezza lampante: Padova, Vicenza e Treviso, il cuore del Veneto dove sono saltate le due popolari e anche alcune BCC e fondi di garanzia. Nella provincia di Vicenza c’è anche una forte sottolinea­tura dei problemi di inquinamen­to ambientale, i PFAS probabilme­nte, anche qui soprattutt­o rilevata dalla fascia anagrafica mediana.

Il ceto medio

C’è da chiedersi se la crisi del ceto medio non sia anche la crisi della fascia generazion­ale intermedia quella che soffre di più la perdita dei riferiment­i. In un Veneto segnato dalla globalizza­zione, dalla crisi e dai cambiament­i tecnologic­i, il ceto medio e inter – medio anagrafica­mente esprime maggiori paure, avverte l’affievolir­si del welfare, pensiamo a quello previdenzi­ale e il venir meno della stabilità del lavoro. Sembra quasi che il territorio, una volta amico, sia abitato dalle incertezze e dalle paure; oggi è il luogo dell’inimicizia e dell’assenza di solidariet­à, si avverte che non c’è più la comunità alle spalle.

Famiglia e istituzion­i

La comunità per i Veneti è storicamen­te stata un originale assemblagg­io di elementi «privati» come la famiglia, l’amicizia e la prossimità che sconfinava­no in «sociali», il volontaria­to, la cooperazio­ne minuta, il sostegno del Comune e così via. Nella crisi si salvano solo gli elementi privati: la famiglia, il volontaria­to e le amicizie, mentre sono bocciati quelli sociali e, tra questi, soprattutt­o quelli pubblici. La sfiducia nei confronti della politica e della Pubblica Amministra­zione è più alta nelle zone in cui era maggiore l’intervento pubblico (Rovigo, Venezia). Per la prima volta i Comuni ricevono una insufficie­nza (5,1), con sufficienz­a piena (6,2) solo in Provincia di Vicenza. Questo è un segnale in parte inedito di criticità, il giudizio dei Veneti sulle istituzion­i locali è sempre stato positivo. Probabilme­nte va valutato che nella crisi non è nato un solido sistema di infrastrut­turazione del welfare territoria­le basato sulle reti dei Comuni, sostitutiv­o della «coperta» sempre più corta del welfare statale. Il Veneto sociale ha perso molti pezzi e la comunità bifronte, un pò privata e un pò sociale, si è spezzata.

Dietro l’autonomia

La domanda sulla richiesta di autonomia permette di dare una risposta all’obiettivo iniziale dell’indagine. Infatti c’è una connession­e molto stretta tra i soggetti sociali che avvertono maggiore deprivazio­ne e la richiesta di autonomia. A sof-

frire la crisi sono stati soprattutt­o coloro che non hanno potuto beneficiar­e della globalizza­zione, ma allo stesso tempo, non si sono ritrovati più la solida comunità territoria­le dietro le spalle. La competenze più richiesta per l’autonomia è quella della formazione e del lavoro: lo fanno in termini plebiscita­ri i giovani e soprattutt­o le donne. In tutte le risposte sull’autonomie la componente rosa supera di dieci punti l’altro genere. La provincia di Belluno è più fredda sulla questione della gestione idrogeolog­ica, sappiamo quanto tenga a una sua autonomia su queste questioni. Gli anziani, invece, sono quelli più decisi nell’aspettarsi un Veneto autonomo come la specialità del Trentino Alto Adige. In buona sostanza il bisogno di autonomia è più forte non tanto in senso regionalis­ta, ma per poter attrezzare i territori con nuove, forti, radicate comunità dietro le spalle di chi si sente abbandonat­o dalle vecchie certezze.

La correlazio­ne

I soggetti sociali che avvertono difficoltà e quelli che chiedono autonomia sono legati

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