Festa e fiumi di birra: «Basta pagare il pizzo»
SAPPADA (BELLUNO) In uno stanzino della scuola di sci di Sappada, Gianmarco Kratter e il suo gruppo di irriducibili se ne stanno seduti con gli occhi incollati allo schermo che trasmette in diretta il voto della Camera. I telefonini continuano a vibrare: sono i messaggi che dalla mattina si scambiano con i deputati che hanno sposato la causa. Scrivono: «Andrà bene», «Abbiamo i numeri». Ma i dubbi restano.
Questo manipolo di compaesani, tra loro si chiamano «I Referendari»: sono coloro che fin dal referendum del 2008 hanno portato avanti la battaglia per il passaggio di questo paese di 1.300 anime dalle montagne venete a quelle friulane. Un percorso a ostacoli durato dieci anni e che ieri, a Montecitorio, si è chiuso con 257 voti a favore, venti contrari e 74 astenuti.
Alla fine, quando a Roma si sancisce il via libera definitivo, Kratter proprio non ce la fa a trattenere la tensione accumulata e scoppia a piangere. Lui per primo e via-via tutti gli altri. «Ce l’abbiamo fatta», dice ad alta voce quasi voglia convincersene fino in fondo. E ce l’hanno fatta davvero.
Ora si può festeggiare. Poco lontano, nei due bar del centro, un’altra cinquantina di sostenitori del «fronte del sì» brinda al risultato. Anche qui c’è chi si commuove, chi applaude e chi ordina un altro giro di birra. «Veneto addio, si va in Friuli!». E si va davvero. Saranno duecento, stipati in un lungo serpentone di auto strombazzanti che sfila tra le vie del paese, sventolando le bandiere azzurre con l’Aquila d’oro invece del Leone di San Marco, e gridando, e sporgendosi dai finestrini aperti perché anche se fa freddo e i boschi sono imbiancati oggi nessuno ci fa caso.
Il primo paese è Forni Avoltri, provincia di Udine. E il primo bar è lì, appena superato il confine. Gli avventori li accolgono festanti e offrono da bere agli amici che non dovranno più considerare i fratellastri del Veneto. «Ombre per tutti!». «No, ora di dice tajùt». E anche il solito vino rosso ha un sapore diverso.
«Ci accusano di averlo fatto solo per i soldi, perché una Regione a statuto speciale può rappresentare un affare, per certi versi» spiega Kratter. «E i soldi hanno avuto un loro peso nel raggiungere il 95 per cento di “sì” al referendum, inutile negarlo. Ma non è solo questo: Sappada in fondo l’hanno costruita i friulani, abbiamo le stesse radici». Sarà, ma in paese tutti si augurano che ora comincino a piovere finanziamenti. «Veniamo da vent’anni di declino, stretti tra località turistiche che godono di fondi che noi neppure ci sogniamo. A Venezia conoscono soltanto Cortina d’Ampezzo, adesso forse capiranno cosa hanno perso», chiosa Alessandro Mauro coprendosi la testa lucida come una palla da bowling. «Avevo promesso che, se avessimo vinto, avrei tagliato i capelli...».
La colonna di auto riprende a muoversi: si torna in paese. Le finestre del municipio sono illuminate, il sindaco Manuel Piller Hoffer non si è mosso dal suo ufficio. «L’amministrazione si è mantenuta neu- trale - spiega - pur sostenendo il sentimento emerso dal referendum del 2008. Certo, il passaggio di Sappada al Friuli è una sconfitta per una certa politica veneziana e romana colpevole di non aver capito il disagio che si respira nelle zone di confine».
Piller Hoffer finora si è dovuto arrangiare con un bilancio di sette milioni di euro l’anno. «Non so se davvero arriveranno tutti i soldi che in molti si aspettano. Più probabilmente ci sarà chi ci guadagnerà qualcosa e chi forse ci perderà». I contadini che si avvalgono dei contributi della Regione Veneto, appartengono a quest’ultima categoria. Ma gli automobilisti sono molti di più «e basta fare benzina in Friuli per pagarla 20 centesimi in meno al litro», spiega il sindaco.
Al bar, un’orchestrina suona musica tradizionale. La comitiva dei vincitori si è già radunata e l’oste, Pierluigi Beneventi, serve fiumi di birra. «Sono un Referendario anch’io», rivendica con orgoglio. «Mi ricordo, dieci anni fa, quando raccoglievamo le firme davanti alla chiesa...».
Un negoziante ordina «un giro per tutti». «Ogni anno noi imprenditori versiamo un contributo per la gestione dell’impianto di sci. Lo chiamiamo “il pizzo”, perché siamo costretti a pagare, altrimenti dovremmo dire addio ai turisti. È bello sapere che nel 2018, quei mille euro li userò per portare al mare mia figlia». Arriva anche il vicesindaco di Forni Avoltri, e promette: «Faremo grandi cose insieme».
La fisarmonica azzarda qualche nota e subito gli avventori intonano in coro: «Addio, addio Veneto, non torneremo mai più da te...».
L’azzardo Agli amici avevo detto: se vinciamo potrete tagliarmi i capelli
Il ricordo Dieci anni fa anch’io raccoglievo le firme per il referendum