Rispetto al 2016 se ne contano 12 mila in meno
Gli immigrati? Ora sono in calo A migliaia lasciano il Veneto
VENEZIA Calano i numeri degli immigrati in Veneto: -2,5% ri- spetto al 2016, oltre 12 mila. Un’inversione di tendenza storica, anche rispetto a inizio an- no, che si spiega solo in parte con la riduzione degli sbarchi e con l’aumento di coloro che hanno ottenuto la cittadinanza, e che quindi non risultano più stranieri. Ad incidere, nella decisione di lasciare il Veneto per spostarsi in altri Paesi o rimpatriare, per lo più la ricerca di lavoro. Le mete più scelte: Svizzera, Germania, Svezia e Norvegia.
VENEZIA Immigrati con le valigie in mano. No, non quelli di Cona in fuga in questi giorni dal Veneziano. Sono gli stranieri «integrati» che in numero sempre maggiore, anche dopo aver ottenuto una professionalità o addirittura la cittadinanza, decidono di lasciare l’Italia. Rimpatriando nel proprio Paese d’origine o ri-emigrando altrove, spesso nell’area dell’Unione Europea. Perché gli immigrati oltre 485 mila i residenti in Veneto all’inizio del 2017, il 9,9% della popolazione, più della media nazionale dell’8,3% - sono in calo. E potrebbe essere la prima volta dopo anni di vere e proprie ondate migratorie.
All’inizio dell’anno si registrava a livello nazionale un timido più 0.4 per cento ma è il dato Veneto che fa registrare una storica inversione di tendenza: stando al rapporto annuale curato della Fondazione «Leone Moressa» gli stranieri in Veneto nel 2017 sono il 2,5 per cento in meno del 2016. In valore assoluto parliamo di oltre 12mila persone.
Un fenomeno, quello della diminuzione di immigrati nelle nostre città, dovuto a diversi fattori. Innanzitutto è aumentato il numero di chi ha acquisito
la cittadinanza italiana (quasi 30 mila nel 2016 in Veneto): stranieri cioè che non risultano più tali ma che comunque non hanno lasciato il territorio. A far contrarre i dati anche il fatto che da agosto i tentativi di sbarco nel canale di Sicilia hanno subito un netto arresto. Chi se ne va davvero, spesso «sradicando» dalla comunità moglie e figli, è soprattutto perché è alla disperata ricerca di lavoro, di una stabilità economica, ma anche di agevolazioni e incentivi statali. Con il passaporto in tasca cercano occupazione in Svizzera, Svezia, Norvegia o Germania, dove non devono chiedere permessi, ma anche in Francia. E non solo. Stando a Fondazione «Moressa» chi ha deciso di andarsene altrove è stato vittima della crisi soprattutto nel settore dell’edilizia e del manifatturiero.
Invero c’è anche chi ha scelto di levare le ancore semplicemente per godersi in patria il «capitale» raggranellato negli anni in cui ha lavorato in Veneto. Sono soprattutto le donne dell’Est, che dopo una decina di anni come badante si stabiliscono di nuovo in patria per l’agognata pensione. Evidentemente non rimpiazzate con la velocità di un tempo. Dati alla mano, all’anno scorso erano 240mila gli occupati stranieri in Veneto, che hanno prodotto un valore aggiunto di 13,8 miliardi. E sembra sia proprio il lavoro il motivo principale che convince a staccare un biglietto di sola andata per un’altra destinazione.
«Sono stati diversi i connazionali residenti in particolare a Treviso e a Vicenza che sono tornati a casa, in Polonia - fa sapere Irena Ludwika Czopek, presidente di AIPP, associazione italo polacca con sede a Padova - : le famiglie si sono trovate in crisi, con l’azienda chiusa, senza lavoro, e hanno scelto di trasferirsi in Germania o di tornare in patria, visto che il Paese è in crescita, e con loro moltissimi italiani». A livello nazionale i polacchi sono coloro che hanno lasciato in massa il Paese (1,6%). In Veneto un quarto degli immigrati viene dalla Romania - sono quasi 120 mila - e dal Marocco, a quota 46 mila. A parlare dell’esperienza dei suoi connazionali in fuga è Abdallah Khezraji, storico portavoce delle comunità marocchine di Treviso, già vicepresidente della Consulta regionale per l’immigrazione. «Molti degli amici sono andati all’estero, per lo più Francia e Germania, convinti da stipendi più alti, contributi e servizi anche per la famiglia erogati dal Welfare - racconta - e coloro che arrivano dall’Italia sono ben voluti, sanno che lavorano perché non sono abituati ad avere l’assegno di disoccupazione o l’assistenza dello Stato». Ma a sentire Khezraji, se è vero che la voglia d’Italia si sta sbiadendo, è invece forte il mal d’Italia, la nostalgia. «Mi raccontano che lì non trovano un buon vivere come in Italia, il gusto della vita, la stessa socializzazione. E rimpiangono il Veneto» prosegue quasi orgoglioso, professandosi «proprio italiano». E racconta dell’amico che ha fatto marcia indietro, su suo consiglio: «Con moglie e figli ha lasciato Treviso per la Francia ma dopo appena cinque mesi è ritornato qui su mia sollecitazione e ora è felice: ha trovato una sua stabilità».
Se c’è chi non ha più casa a Venezia o Padova ha comunque portato in valigia dal Veneto le basi per il suo futuro. Per ripartire da dove è nato. «C’è chi aveva imparato a fare la pizza e si è aperto un locale, chi il saldatore e ha avviato una piccola officina - racconta un funzionario di polizia dell’ufficio immigrazione - sono tutti africani sui 30 anni che hanno scelto il rimpatrio volontario assistito: garantisce loro 400 euro subito e altri 1600 poi». Per ricominciare. Ma non in Veneto.
Irena Ludwika Czopek Le famiglie polacche che si erano trasferite in Veneto, perso il lavoro, hanno deciso di tornare in patria o di spostarsi in Germania
Abdallah Khezraji
Sono convinti da stipendi più alti, contributi e servizi erogati dal Welfare, ma rimpiangono l’Italia per il gusto della vita