Riina jr cacciato e sotto inchiesta
Tolta la libertà vigilata. E l’Antimafia di Venezia lo indaga per traffico di droga
Doppio colpo per Salvuccio Riina. Il figlio del capo dei capi di Cosa Nostra viene cacciato dal Veneto e trasferito in una casa lavoro fuori regione. Costretto a lasciare Padova su decisione del giudice di Sorveglianza Linda Arata, che gli ha revocato la libertà vigilata. Misura che Riina jr secondo le indagini ha infranto perché scoperto con il «vizietto» della cocaina e la brutta abitudine di incontrarsi con pregiudicati palermitani e spacciatori. Non solo. Emerge anche che Salvuccio è finito sotto inchiesta, dall’Antimafia di Venezia, per traffico di stupefacenti.
Veneto addiu. Giuseppe Salvatore Riina, il figlio del boss di cosa nostra recentemente scomparso, lascia Padova e, soprattutto, può dire addio alla libertà vigilata.
La decisione del giudice di Sorveglianza Linda Arata gli è stata comunicata ieri mattina dal suo avvocato Francesca Casarotto: dovrà rimanere «rinchiuso» in una casa di lavoro fino al 28 novembre 2018, e solo allora i magistrati torneranno a valutare se rappresenti ancora un pericolo per la società. Il provvedimento è stato eseguito in serata, quando le forze dell’ordine l’hanno prelevato dalla sua abitazione a due passi dal centro storico per portarlo in questura, prima di trasferirlo nella struttura di competenza della casa circondariale di Vasto, in Abruzzo.
Non è l’unica brutta notizia per il quarantenne che negli ultimi anni si presentava come scrittore, nonostante abbia all’attivo soltanto un libro sulla storia (alquanto annacquata) della sua famiglia. La procura di Venezia l’ha iscritto nel registro degli indagati nell’ambito di una inchiesta per associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti. Fatti avvenuti tra maggio e novembre 2014, quando Riina jr già viveva a Padova da un paio d’anni, in regime di sorveglianza speciale. Un’indagine delicata e tutt’ora in corso, coordinata dal sostituto Lucia d’Alessandro e seguita con attenzione anche dal procuratore capo di Venezia, Bruno Cherchi. A Riina viene contestato il reato previsto dall’articolo 74 del 1990: in pratica c’è il sospetto che facesse parte di una grossa organizzazione che trafficava in droga. Accusa, naturalmente, ancora tutta da dimostrare ma che basta a gettare un luce sinistra sugli anni padovani del terzogenito di Totò ’u curtu.
È proprio indagando sull’organizzazione criminale che la Dda si era imbattuta in Salvuccio, scoprendo che non rispettava i rigidi «paletti» della libertà vigilata, concessa dopo aver scontato la condanna a otto anni e dieci mesi per associazione mafiosa. Dall’informativa dell’Antimafia, è uscito un ritratto sconfortante: il figlio del più importante boss della mafia siciliana ridotto a un rampollo con il «vizietto» della cocaina e la brutta abitudine di incontrar-