IL CONFINE CHE ADESSO UNISCE
«Vite di quartiere» è una serie a puntate del Corriere di Verona per raccontare come cambiano i quartieri veronesi, i loro problemi, ma anche la loro vitalità. Si possono segnalare storie alla mail alessio.corazza@rcs.it
Ibinari segnavano la linea di demarcazione tra Santa Lucia e Golosine. Per attraversarli un tempo c’era una passarella pedonale , un confine stile «muro di Berlino» rimasto anche quando i binari sono stati abbandonati al loro destino di ruggine, erbacce e degrado. Ma adesso è proprio quel confine è il «gioiello» del quartiere.
Quando lo scalo merci era ancora lo scalo merci e non un reticolo di binari sempre meno utilizzati che la politica cittadina oggi sogna di trasformare nel più grande parco di Verona, quando la Zai era davvero una zona agricola industriale e non una distesa di capannoni sempre più vuoti affiancati da centri commerciali e supermercati sempre più pieni, sulla vecchia linea ferroviaria per Mantova i treni sfrecciavano in continuazione. A maggior ragione da quando, negli anni Sessanta, la Volkswagen decise di lasciare la fortemente sindacalizzata Bologna per Verona, portando la propria sede italiana all’Autogerma. Treni carichi di persone, poi di merci, infine solo di auto. Per attraversare quei binari, che segnavano e segnano tutt’ora la linea di demarcazione tra lo storico quartiere ferroviario di Santa Lucia e quello più recente e popolare delle Golosine tra cui c’è sempre stata una sorta di rivalità, c’era una passarella pedonale di ferro, rimasta bene impressa nella mente dei residenti storici. Un confine stile «muro di Berlino» che è rimasto anche quando i treni hanno smesso di passare e i binari sono stati abbandonati al loro destino di ruggine ed erbacce. Negli anni Ottanta, era questo uno degli infernali rifugi degli eroinomani. «Golosine, non solo droga», recita lo storico murale apparso per la prima volta nel quartiere nel ’93. Ma, per iniziare a vedere la luce in fondo al tunnel, bisognerà aspettare un altro decennio.
Cosa fare di quella vecchia linea ferroviaria che passa in mezzo a case e palazzoni è stato un cruccio per anni. «Negli anni ’70 si era immaginato addirittura di farne una strada, una sopraelevata stile Genova», ricordano due residenti della prima ora di quello che qui chiamano il «quartiere Indipendenza», sviluppatosi proprio attorno a questi binari e con una sua identità distinta. Aldo Isalberti - alias il «Principe Reboano» dei Filippini e Giuseppe Fratton, che presiede la sezione locale dell’Associazione degli Artiglieri, sono tra quelli che hanno visto questa zona cambiare faccia molte volte. «Qui è sempre stato un crocicchio di identità», ricordano. C’erano le case dei maestri, quelle dei bidelli, dei tabacchini dell’allora manifattura, dei militari e degli impiegati civili della Difesa, e poi delle Poste, delle Ferrovie... C’erano bar, fruttivendoli, pizzerie, negozi di generi alimentari, mercerie, latterie. «Qui c’era la vera movida!», raccontano i due. Poi, dall’inizio degli anni Novanta, la composizione demografica è cambiata: sono arrivati gli stranieri a riempire gli appartamenti in cui i figli dei primi arrivati non volevano più abitare. Il quartiere è diventato più multietnico, ma meno compatto, vitale e coeso. «È solo un dormitorio, di tranquillità estrema, praticamente morto».
Una cosa è certa: il futuro del quartiere Indipendenza e con esso quello di Santa Lucia e Golosine dipende da quello che sono diventati quei vecchi binari. Nei primi anni Duemila, ottenendo la concessione da parte delle Ferrovie e un finanziamento dal Comune, il presidente della Quarta Circoscrizione Carlo Badalini colse l’occasione di trasformarli in una pista ciclo-pedonale dove oggi la gente passeggia, fa footing, porta a passeggio il cane e, ovviamente, va in bicicletta. Volendo, si può arrivare da via Torricelli (costeggiando l’ex Autogerma, ora Cattolica Center) a piazza Bra restando sempre sulla ciclabile, che poi si collega a quella di Stradone Santa Lucia, viale Piave e corso Porta Nuova. «Ha ridato centralità urbana a quella che era un’area degradata, una discarica a cielo aperto», dice Badalini, che è tornato qualche mese fa presidente della circoscrizione a dieci anni di distanza. È lui il primo ad ammettere che il bilancio dell’intervento è ancora in chiaroscuro. «Laddove la pista attraversa la zona abitata è molto ben tenuta. È raro trovare un quartiere popolare che ha queste infrastrutture e questi standard di verde. In questo modo le case acquistano valore, attira servizi e residenti perché diventa più vivibile, più attrattivo. Bisogna però riconoscere che agli estremi, dove la pista è meno illuminata e frequentata, abbiamo episodi di vandalismo, c’è insomma un problema di presidio sociale».
La staccionata lungo i binari è stata in parte danneggiata. Qualcuno ha voluto infierire anche sul filare di alberelli piantati dai bambini delle scuole Frattini. Poco distante, un vecchio teatrino all’aperto dove un tempo si ritrovavano le famigliole di questi palazzi per momenti di svago, è lasciato al suo destino, bersagliato di scritte e piuttosto malfrequentato quando cala il buio. Si racconta che nei cortili interni non sia raro ritrovare veicoli abbandonati.
Ritrovare un senso di comunità è l’imperativo perché chi abita qui possa farlo con orgoglio di appartenenza. Conoscersi, guardarsi in faccia, passare tempo assieme: serve una nuova identità. Iniziative come la «Magnalonga di Natale», questa domenica, vanno in questa direzione. Ma quel che oggi manca sono «spazi di aggregazione» dice Alberto Padovani, giovane e votatissimo consigliere di circoscrizione. La scommessa, adesso, è far rivivere Forte Gisella, facendolo diventare sede stabili delle associazioni del quartiere. «In prospettiva - spiega Padovani l’arrivo della Tav potrebbe essere una nuova occasione di riqualificazione per la zona. Potrebbero nascere nuove urbanizzazioni verso la Dogana e Madonna di Dossobuono, con una nuova viabilità e aree verdi». In fondo doveva essere destino che questi quartieri, così fortemente segnati dalle ferrovie, abbiano nuove occasioni di sviluppo proprio all’ombra di nuovi binari.
Il «muro» Per attraversare i binari c’era una passarella. La zona era diventata una discarica a cielo aperto