Alla Ca’ d’Oro il postfuturismo di Guido Strazza
La Collezione della Galleria Franchetti alla Ca’ d’Oro di Venezia si arricchisce di quasi 50 opere, tra cui 12 dipinti e 36 lavori grafici firmati da uno dei più importanti artisti e creativi italiani, Guido Strazza. È stato lo stesso artista a donare questo nucleo di opere degli anni ‘80, che lo legano per linguaggio ed ispirazione alle pietre, ai mosaici, ai marmi, tanto adorati dal barone Giorgio Franchetti, che aveva acquisito la Ca’ d’Oro sul finire dell’800, per poi lasciarla allo Stato nel 1916.
La donazione di Strazza è ora in mostra (fino all’8 aprile), «riuscendo così a far incontrare, a distanza di un secolo un grande artista e un grande collezionista», sottolinea la direttrice della Galleria, Claudia Cremonini.
Tele, bozzetti, disegni, litografie, incisioni: i lavori di Guido Strazza sono i frammenti di una lunga ricerca, tesa ad «approcciare una possibile perfezione», come confessa lui stesso. Folgorato dai Cosmati, tradizione ornamentale marmorea della Roma medievale, Strazza ne ha estratto spirali, curve, moduli stellati, a loro volta intrecciati o sovrapposti o ripetuti, fino a costruire delle raffinate composizioni visive. Romano di nascita, Guido Strazza ha una vita che assomiglia a un romanzo. Classe 1922, è Marinetti a scoprirne il talento ed è il futurismo a plasmarlo. Il padre lo manda proprio a Venezia a studiare, al Collegio Navale della Cini, per poi convincerlo a seguire gli studi di ingegneria. Nella sua vita ha fatto il pilota di aerei da turismo, l’ingegnere, il topografo, l’arredatore, il grafico. Imbarcatosi nel ‘48 per il Sudamerica, vive a Lima, scoprendo il fascino delle iconografie incaiche. Tornato in Italia nel 1954, si tuffa nelle avanguardie artistiche, assieme a Tancredi, Vedova, Bacci. A Venezia prende uno studio alla Casa dei Tre Oci. Peggy Guggenheim compra alcune sue opere e così la Biennale, dove espone nel 1968.
Quella di Guido Strazza è una carriera lunghissima e inquieta e il suo sguardo sempre curioso e cosmopolita. «Ho sempre provato a misurare ciò che non è misurabile», dice lui sorridendo. Ora l’omaggio alla Ca’ d’Oro.