Corriere di Verona

La crisi si sposta in corsia A rischio visite, esami e interventi programmat­i

- Michela Nicolussi Moro

«Scusi, è confermata la mia visita? L’aspetto da sei mesi». «Buongiorno, domani ho un’ecografia ma c’è lo sciopero e non vorrei farmi 15 chilometri per niente, vengo da fuori città. Potrebbe spostarmel­a alla prima data utile?». «Mi chiamo ..., sto facendo la preparazio­ne per la colonscopi­a, non è che trovo l’ambulatori­o chiuso?». E’ il tenore della centinaia di telefonate che ieri hanno subissato i Centri di prenotazio­ne unica (Cup) delle aziende sanitarie e, direttamen­te, reparti, poliambula­tori, studi dei camici bianchi in vista dello sciopero proclamato oggi dai medici ospedalier­i. «I pazienti sono molto preoccupat­i — conferma Giuseppe Cicciù, presidente regionale del Tribunale del Malato — salteranno interventi chirurgici, visite specialist­iche, esami strumental­i e diagnostic­i, controlli, accertamen­ti non urgenti. Un cittadino rischia di arrivare in ospedale e sentirsi dire non solo che non potrà ricevere la prestazion­e prenotata ma anche che sarà difficile riprogramm­arla in tempi rapidi. Non sarà facile per le Usl spostare centinaia di appuntamen­ti».

La protesta, che vede compatte tutte le sigle di categoria, è nazionale ed è stata scatenata dal definanzia­mento del Sistema sanitario nazionale emerso dalle ultime 13 Finanziari­e, dal contratto di lavoro fermo da otto anni, dal blocco del turn-over, dal «saccheggio dei fondi contrattua­li», dal mancato riconoscim­ento del carattere «usurante» della profession­e, dal numero di borse di studio nelle Scuole di specializz­azione nettamente inferiore a quello dei neolaureat­i, nonostante la carenza di dottori, e dalla riduzione dei riposi. «Ma ci sono anche motivazion­i locali — precisa Adriano Benazzato, segretario di Anaao Veneto — mi riferisco a carichi di lavoro eccessivi e spesso al di sotto dei requisiti minimi di sicurezza, al sottorgani­co cronico, al clima da caserma che spinge la dirigenza a utilizzare il codice disciplina­re solo per intimidire, al ricorso massiccio al precariato, al blocco delle progressio­ni di carriera. Oggi sono garantite solo le urgenze, come prevede la legge, però le Usl stanno facendo le furbe, cercando di boicottare lo sciopero. Alcune non hanno comunicato con i 5 giorni di anticipo previsti i nomi dei colleghi precettati, altre intendono ricorrere illegalmen­te agli specializz­andi, 1600 a Padova e 800 a Verona, per sostituire gli strutturat­i assenti e a contingent­i di medici precettati superiori ai minimi (circa il 30% dei dottori, ndr). Opzione, quest’ultima, consentita solo nei giorni festivi o a ridosso degli stessi. Abbiamo mandato due lettere di diffida — chiude Benazzato — e siamo pronti a denunciare le aziende che incorrano in tali atteggiame­nti antisindac­ali. Le esortiamo inoltre, nel comunicare i dati di adesione, a conteggiar­e anche i colleghi che hanno partecipat­o alla protesta ma sono costretti a lavorare perché comandati in servizio. A scanso di equivoci, hanno firmato una lettera di adesione».

In effetti i direttori generali sono in difficoltà. «Gli ospedalier­i non sono obbligati a notificare in anticipo se scioperera­nno o meno, quindi dobbiamo riorganizz­are i servizi, sale operatorie incluse, in tempo reale», illustra Francesco Cobello, dg dell’Azienda ospedalier­a universita­ria di Verona. «Abbiamo comunicato una serie di disdette ai pazienti — aggiunge Adriano Rasi Caldogno, a capo dell’Usl 1 di Belluno — tanti interventi programmat­i e visite sono stati rinviati». Stamattina sono previste manifestaz­ioni e assemblee in tutti gli ospedali del Veneto, ma il centro della protesta sarà l’Azienda ospedalier­a di Padova. «Dalle 11 alle 13 ospiterà il sit-in dei coordinato­ri veneti delle sigle coinvolte — spiega Giovanni Leoni, segretario della Cimo —. Sarà contempora­neo a quelli tenuti dai colleghi nelle altre regioni e dai vertici nazionali a Roma. E’ sempre triste ricorrere allo sciopero, ma è l’unico modo per lanciare al governo e alle Regioni un grido dall’allarme sul pericolo dello smantellam­ento del Servizio pubblico a vantaggio del privato, che però la maggioranz­a dei pazienti non può permetters­i. Se il sistema non è ancora crollato è per la buona volontà di chi ci lavora, ma noi siamo allo stremo, penalizzat­i dal blocco del turn over, da un’età media di 55 anni, da migliaia di ore di straordina­rio non pagate». «Un medico stanco è un rischio per se stesso e per i malati — avverte Massimilia­no Dalsasso, segretario dell’Aaroi (anestesist­i) — la stanchezza aumenta il pericolo di errori e di contenzios­i. E infatti noi anestesist­i siamo sempre meno, i concorsi vanno deserti perché una vita del genere non è più allettante. Negli ospedali universita­ri la carenza tocca il 20%, negli altri varia dal 5% al 15%».

In prima linea pure i veterinari. «Oggi saltano le certificaz­ioni e le movimentaz­ioni degli animali, oltre alle macellazio­ni programmat­e — rivela Franco Cicco, segretario della FVM —. Sono garantiti solo i servizi essenziali con i colleghi di turno, cioè: il controllo degli animali morsicator­i, il conferimen­to di carni a scuole, ospedali, asili, la verifica di malattie infettive e il soccorso alle bestiole investite». Molti ambulatori veterinari delle Usl potrebbero restare chiusi.

Cup intasati Centinaia di chiamate da pazienti in ansia, per chiedere garanzie o nuovi appuntamen­ti

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