Bullismo a scuola, tra sexting e furti Ma è allarme suicidi
Il provveditorato: monitorati oltre 3 mila casi in un anno
«Nessuno mi vorrà mai bene, mi sento inutile». È un grido di dolore atavico, che attraversa i secoli, testimoniato dalla letteratura, dalla filosofia: la paura soffocante di essere soli. E che la vita - anche per questo - non valga la pena. Lo provano, come i propri genitori prima di loro, i ragazzi della generazione «più connessa» della storia, la stessa che fa le ore piccole a chattare con gli amici, se non con gli sconosciuti. Tutto il mondo dentro un telefonino e pochissimo all’infuori di esso. La solitudine, quel senso di superfluità che fa sentire smarriti: è quello che descrivono alcuni ragazzi di medie e superiori che hanno tentato il suicidio. Lo scorso anno, gli insegnanti ne hanno individuati ben 25 casi, che sono stati portati all’attenzione del Punto d’ascolto dell’Ufficio scolastico provinciale, dove hanno trovato una consulenza psicologica: altri 18 tra ragazzi e ragazze hanno manifestato, senza attuarli, pensieri suicidi. Due sono arrivati fino in fondo, perdendo la vita. È il numero più tragico del rapporto redatto dall’osservatorio del Provveditorato, che di solito fa parlare per i casi di bullismo.
Non che questi manchino: delle 3.016 segnalazioni ricevute (una media di dieci al giorno, se si considera la durata dell’anno scolastico), circa ottocento sono state direttamente presi in carico. Una buona fetta, 318, riguarda per l’appunto casi di bullismo sia tradizionale, sia mediato dalle nuove tecnologie (cyberbullismo, per utilizzare un neologismo). Seguono quelli di sexting, messaggi espliciti, il più delle volte non graditi, ricevuti tramite le app di messaggistica istantanea. In certi casi, foto pubblicate su social network, magai in un momento di relax in piscina vengono salvate da terzi e fatte girare ad hoc in chat private. Con gli inevitabili commenti. Secondo i dati raccolti dagli specialisti del Provveditorato, internet sarebbe il «terzo luogo», anche se non un luogo fisico dove avvengono atti di bullismo, secondo solo alla scuola ai punti d’incontro, ma davanti al campi di calcio, alle palestre e alle piscine dove ci si trova a fare sport. Del resto ormai, a Verona e provincia il 90% degli studenti possiede uno smartphone già a nove anni e il suo utilizzo non è sempre dei più appropriati. Una lite ripresa con un telefonino. La diffusione di materiale online per deridere è un diffuso comportamento da «bullo»
Sono ancora i «secchioni» quelli più presi di mira: i più bravi a scuola ma anche quelli che hanno bisogno di essere seguiti, anche solo per un deficit dell’attenzione. Anche la nazionalità è uno dei fattori decisivi, agli ultimi posti, invece, la discriminazione di genere. Resta alta l’allerta anche sui fenomeni di autolesionismo, in particolare da taglio. «Come già avvenuto in passato per l’anoressia - fa sapere la psicologa dell’Ufficio scolastico provinciale, Giuliana Guadagnini - ci sono perfino dei siti specializzati che spiegano come fare. Si tratta di una pratica pericolosa che viene amplificata dal senso di sfida e dall’idea di sentirsi parte di una comunità». Certo, sono numeri che preoccupano. E a cui si aggiungono le segnalazioni arrivate alle forze dell’ordine: una quarantina quella dei furti. Mentre i bulli - secondo i questionari raccolti si sentono «divertiti» dalle situazioni che creano. «Un quadro che non va assolutamente sottovalutato - afferma Stefano Quaglia, dirigente dell’Ufficio scolastico provinciale - noi stiamo investendo molto in formazione e in prevenzione. Ma non bisogna farsi prendere dal panico: rispetto ai numeri enormi degli studenti, il disagio riguarda una parte».
(e.p.) «Io non posso più stare in casa mia dopo quel che è accaduto, mi ha ucciso moralmente». E alla fine della sua deposizione, davanti al giudice Isidori, ieri ha pianto. Visivamente provata nel raccontare l’aggressione subita a fine settembre di quattro anni fa, a Nogara. Una «spedizione punitiva» secondo l’accusa mossa a Coleg L., moldavo di 39 anni che viveva nell’appartamento vicino a quello della vittima, una donna romena di 52 anni costituitasi parte civile con l’avvocato Franceschini. «La sera precedente ero rientrata tardi con un’amica e avevamo ordinato una pizza. Non so per quale motivo, ma la moglie di quest’uomo ha suonato al mio campanello e ha iniziato a insultarmi - ha ricordato la vittima -. Poi la mattina dopo, ero al telefono quando mi è suonato il campanello e quando ho aperto la porta sono stata raggiunta da un pugno al volto. Quell’uomo mi insultava dandomi dell’ubriacona e mi ha sbattuto la testa contro il calorifero (ha riportato 12 giorni di prognosi, ndr). Non so perché». Si torna in aula a maggio.
Quaglia Stiamo puntando sulla formazione per fermare il fenomeno
(e.p.) «Sinceramente, all’inizio, credevo più a un giro di spaccio che di prostituzione. Mi ero insospettita per il continuo viavai di sconosciuti dalla palazzina a qualsiasi ora del pomeriggio e della sera. Anche due o tre ogni mezz’ora». Davanti al giudice Claudio Prota, ieri mattina, ha testimoniato la vicina di casa della giovane squillo romena sfruttata dal connazionale Ionut Rascanu, arrestato nel settembre del 2015 dai carabinieri al termine della più classica delle «trappole». L’uomo era accusato di aver organizzato incontri a luci rosse nell’appartamento di Borgo Roma che aveva preso in affitto. Ma doveva rispondere anche dell’accusa di estorsione nei confronti di un cliente che aveva picchiato e minacciato per farsi consegnare 20 euro che il poveretto non aveva voluto lasciare alla ragazza, dopo che il loro incontro era andato in fumo. «Un giorno ho trovato un volantino che reclamizzava incontri hot nel mio palazzo» ha proseguito la testimone. Secondo l’accusa era Rascanu (difesa Lombardo) a curare tutto il «marketing» con tanto di annunci on-line.