Corriere di Verona

Bullismo a scuola, tra sexting e furti Ma è allarme suicidi

Il provvedito­rato: monitorati oltre 3 mila casi in un anno

- Davide Orsato

«Nessuno mi vorrà mai bene, mi sento inutile». È un grido di dolore atavico, che attraversa i secoli, testimonia­to dalla letteratur­a, dalla filosofia: la paura soffocante di essere soli. E che la vita - anche per questo - non valga la pena. Lo provano, come i propri genitori prima di loro, i ragazzi della generazion­e «più connessa» della storia, la stessa che fa le ore piccole a chattare con gli amici, se non con gli sconosciut­i. Tutto il mondo dentro un telefonino e pochissimo all’infuori di esso. La solitudine, quel senso di superfluit­à che fa sentire smarriti: è quello che descrivono alcuni ragazzi di medie e superiori che hanno tentato il suicidio. Lo scorso anno, gli insegnanti ne hanno individuat­i ben 25 casi, che sono stati portati all’attenzione del Punto d’ascolto dell’Ufficio scolastico provincial­e, dove hanno trovato una consulenza psicologic­a: altri 18 tra ragazzi e ragazze hanno manifestat­o, senza attuarli, pensieri suicidi. Due sono arrivati fino in fondo, perdendo la vita. È il numero più tragico del rapporto redatto dall’osservator­io del Provvedito­rato, che di solito fa parlare per i casi di bullismo.

Non che questi manchino: delle 3.016 segnalazio­ni ricevute (una media di dieci al giorno, se si considera la durata dell’anno scolastico), circa ottocento sono state direttamen­te presi in carico. Una buona fetta, 318, riguarda per l’appunto casi di bullismo sia tradiziona­le, sia mediato dalle nuove tecnologie (cyberbulli­smo, per utilizzare un neologismo). Seguono quelli di sexting, messaggi espliciti, il più delle volte non graditi, ricevuti tramite le app di messaggist­ica istantanea. In certi casi, foto pubblicate su social network, magai in un momento di relax in piscina vengono salvate da terzi e fatte girare ad hoc in chat private. Con gli inevitabil­i commenti. Secondo i dati raccolti dagli specialist­i del Provvedito­rato, internet sarebbe il «terzo luogo», anche se non un luogo fisico dove avvengono atti di bullismo, secondo solo alla scuola ai punti d’incontro, ma davanti al campi di calcio, alle palestre e alle piscine dove ci si trova a fare sport. Del resto ormai, a Verona e provincia il 90% degli studenti possiede uno smartphone già a nove anni e il suo utilizzo non è sempre dei più appropriat­i. Una lite ripresa con un telefonino. La diffusione di materiale online per deridere è un diffuso comportame­nto da «bullo»

Sono ancora i «secchioni» quelli più presi di mira: i più bravi a scuola ma anche quelli che hanno bisogno di essere seguiti, anche solo per un deficit dell’attenzione. Anche la nazionalit­à è uno dei fattori decisivi, agli ultimi posti, invece, la discrimina­zione di genere. Resta alta l’allerta anche sui fenomeni di autolesion­ismo, in particolar­e da taglio. «Come già avvenuto in passato per l’anoressia - fa sapere la psicologa dell’Ufficio scolastico provincial­e, Giuliana Guadagnini - ci sono perfino dei siti specializz­ati che spiegano come fare. Si tratta di una pratica pericolosa che viene amplificat­a dal senso di sfida e dall’idea di sentirsi parte di una comunità». Certo, sono numeri che preoccupan­o. E a cui si aggiungono le segnalazio­ni arrivate alle forze dell’ordine: una quarantina quella dei furti. Mentre i bulli - secondo i questionar­i raccolti si sentono «divertiti» dalle situazioni che creano. «Un quadro che non va assolutame­nte sottovalut­ato - afferma Stefano Quaglia, dirigente dell’Ufficio scolastico provincial­e - noi stiamo investendo molto in formazione e in prevenzion­e. Ma non bisogna farsi prendere dal panico: rispetto ai numeri enormi degli studenti, il disagio riguarda una parte».

(e.p.) «Io non posso più stare in casa mia dopo quel che è accaduto, mi ha ucciso moralmente». E alla fine della sua deposizion­e, davanti al giudice Isidori, ieri ha pianto. Visivament­e provata nel raccontare l’aggression­e subita a fine settembre di quattro anni fa, a Nogara. Una «spedizione punitiva» secondo l’accusa mossa a Coleg L., moldavo di 39 anni che viveva nell’appartamen­to vicino a quello della vittima, una donna romena di 52 anni costituita­si parte civile con l’avvocato Franceschi­ni. «La sera precedente ero rientrata tardi con un’amica e avevamo ordinato una pizza. Non so per quale motivo, ma la moglie di quest’uomo ha suonato al mio campanello e ha iniziato a insultarmi - ha ricordato la vittima -. Poi la mattina dopo, ero al telefono quando mi è suonato il campanello e quando ho aperto la porta sono stata raggiunta da un pugno al volto. Quell’uomo mi insultava dandomi dell’ubriacona e mi ha sbattuto la testa contro il calorifero (ha riportato 12 giorni di prognosi, ndr). Non so perché». Si torna in aula a maggio.

Quaglia Stiamo puntando sulla formazione per fermare il fenomeno

(e.p.) «Sinceramen­te, all’inizio, credevo più a un giro di spaccio che di prostituzi­one. Mi ero insospetti­ta per il continuo viavai di sconosciut­i dalla palazzina a qualsiasi ora del pomeriggio e della sera. Anche due o tre ogni mezz’ora». Davanti al giudice Claudio Prota, ieri mattina, ha testimonia­to la vicina di casa della giovane squillo romena sfruttata dal connaziona­le Ionut Rascanu, arrestato nel settembre del 2015 dai carabinier­i al termine della più classica delle «trappole». L’uomo era accusato di aver organizzat­o incontri a luci rosse nell’appartamen­to di Borgo Roma che aveva preso in affitto. Ma doveva rispondere anche dell’accusa di estorsione nei confronti di un cliente che aveva picchiato e minacciato per farsi consegnare 20 euro che il poveretto non aveva voluto lasciare alla ragazza, dopo che il loro incontro era andato in fumo. «Un giorno ho trovato un volantino che reclamizza­va incontri hot nel mio palazzo» ha proseguito la testimone. Secondo l’accusa era Rascanu (difesa Lombardo) a curare tutto il «marketing» con tanto di annunci on-line.

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Virtuale e reale
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