Wolf Ferrari, i colori dell’anima
ARTE A Palazzo Sarcinelli dal 2 febbraio una grande retrospettiva dedicata al pittore veneziano vissuto tra ‘800 e ‘900. Dal simbolismo mitteleuropeo all’approdo a una sorprendente modernità. Molte opere da collezioni private
Betulle nella luce rosa fra le nuvole, con la verticalità dei tronchi che innesca uno spaesamento percettivo, a scuotere l’osservatore, catapultandolo in un paesaggio della memoria e dell’anima. È questa collisione spiazzante ed emotiva con la realtà della natura a rendere tuttora vibranti e coinvolgenti le tele di Teodoro Wolf Ferrari (18781945), uno sperimentatore alla ricerca delle radici della vita, che ha cavalcato le avanguardie per poi scegliere l’approdo nell’intimismo. L’esposizione «Teodoro Wolf Ferrari. La modernità del paesaggio», a Palazzo Sarcinelli a Conegliano dal 2 febbraio al 24 giugno (catalogo Marsilio, info mostrawolfferrari.it), proporrà una rilettura dell’opera del pittore veneziano con oltre 60 lavori - un nucleo consistente dalla collezione Coin - tra dipinti, acquarelli, pannelli decorativi, vetrate. «La riscoperta di un autore - spiega Giandomenico Romanelli, curatore della rassegna con Franca Lugato - cosmopolita e attento a cogliere le istanze europee, troppo a lungo rimasto intrappolato nell’etichetta di artista del paesaggio locale».
Dal simbolismo al Secessionismo, dalle novità artistiche veneziane alle delicate passeggiate autunnali dal Grappa al Piave; dai paesaggi visionari e onirici di stampo mitteleuropeo a quelli lirici e luminosi dell’ultimo periodo, con un focus sul tema della «tempesta», con opere come Bufera, Paesaggio Notturno, Notte, Danza macabra. Tutto questo vedremo nella mostra promossa da Comune di Conegliano e Civita Tre Venezie, che è stata presentata ieri al Conservatorio di musica Benedetto Marcello di Venezia, in un incontro dal titolo «Teodoro e Ermanno Wolf Ferrari: tra pittura e musica», volto ad approfondire le figure del pittore e del fratello musicista. I fratelli Wolf si formano in un ambiente colto e sensibile alle tendenze artistiche e letterarie dell’epoca, studiando tra Venezia e Monaco. Allievo all’Accademia veneziana di Guglielmo Ciardi, Teodoro attinge all’alfabeto di Böcklin, Von Stuck, Klinger, Klimt, Kandinskji per costruire il suo universo poetico.
Aderisce al gruppo «Die Scholle» (corrente culturale in aperto scontro con la tradizione) animato da Leo Putz, che Teodoro ripropone in versione italiana costituendo il movimento «l’Aratro». Fortissima in Wolf Ferrari è la vena di sperimentalismo, che lo porta a vivere la secessione di Ca’ Pesaro negli anni ’10, entrando in contatto con gli artisti di Ca’ Pesaro (Gino Rossi, Ugo Valeri, Arturo Martini, Tullio Garbarti, Umberto Moggioli), che, sotto la regia di Nino Barbantini, rivoluzionano l’arte veneziana e italiana; l’amicizia e collaborazione con Vittorio Zecchin lo porteranno alla Biennale del 1914.
Nella mostra di Conegliano vedremo pure confronti coi contemporanei come Rossi, Valeri, Mariano Fortuny e Mario De Maria; intrigante l’accostamento con L’isola dei morti (da Arnold Böcklin) di Otto Vermehren e L’isola misteriosa di Teodoro: il tema del silenzio e isolamento dentro una dimensione tenebrosa è restituito in maniera inedita nei colori e nella dimensione spirituale. Wolf Ferrari alza sempre l’asticella: «cita Böcklin – marca Romanelli - e va oltre, cita Klimt e va oltre». E va oltre, perché la sua rivoluzione è nella libertà che si prende negli ultimi 20 anni della sua vita ritirandosi a San Zenone degli Ezzelini, nel trevigiano. Optando per una strada apparentemente meno dirompente, inventa paesaggi modernissimi nel taglio dell’inquadratura, fatti di palettate di colori caldi o più spesso freddi nelle varie tonalità di verde, stesi con l’intento di restituire paesaggi dell’anima.