Corriere di Verona

Hellas-Juventus Una rivalità nata non per caso

La lotta ai «paroni», le polemiche arbitrali Storia di una rivalità nata negli anni Settanta Sabato Bentegodi verso il tutto esaurito

- Fontana

Gli ordini di Garonzi L’allora presidente dell’Hellas, che aveva una concession­aria Fiat, chiamava la Juve degli Agnelli «i paroni». E diceva: «Voio vinsar» Fanna Quel gol fu una liberazion­e. Nei cinque anni a Torino non mi ero sentito mai compreso Zigoni Il gol annullato a Petrini? Sollevai una nuvola di gesso: la palla era sulla linea

Il Commenda arrivava a Veronello e tuonava, stando attento a farsi sentire bene: «Voio vinsar contro el paron». Intendeva la Juventus e sottintend­eva la Fiat, di cui era concession­ario. Il Commenda, ossia Saverio Garonzi, era uno avvezzo a dare ordini. Da umile carrettier­e, si era costruito un impero, a Verona, e si era comprato anche la squadra della città, l’Hellas. Quando davanti c’era la Juve, così, sobbalzava secondo dialettich­e hegeliane, in stile «padroneser­vo». Per ovvio principio filosofico, il Verona, a Madama, ha iniziato a tirare, erano gli anni ’70, scherzi da discolo. Per contraccam­bio, ha fatto caparra di scelte arbitrali penalizzan­ti, che ancora adesso mandano in bestia chi c’era, al tempo, e chi, dopo, ha visto pure di peggio: «Se cercate i ladri sono nell’altro spogliatoi­o», esclamò Osvaldo Bagnoli il 6 novembre 1985. Un francese con la pancetta, Robert Wurtz, assegnò un rigore dubbio alla Juve, a Torino, nel Comunale a porte chiuse, e ne negò uno sesquipeda­le al Verona per un fallo di mano di Aldo Serena che avevano visto fin sul Cervino. Era il ritorno degli ottavi di Coppa dei Campioni; l’Hellas perse per 2-0 e tutto il popolo gialloblù urlò di rabbia. Preben Elkjaer, uscendo dal campo, mimò a Wurtz la firma su un assegno, per chiedergli quanto l’avessero pagato. Gianni Agnelli, l’Avvocato, alle contestazi­oni veronesi, rispose sibilando: «Provincial­i».

D’altro canto, nelle stagioni precedenti, gli era toccato purgare assai con l’Hellas. A Verona, la Juve, era uscita sconfitta per quattro volte di fila, tra campionato e Coppa Italia. La prima, con i gialloblù neopromoss­i e i bianconeri imbottiti di Azzuri trionfator­i al Mondiale di Spagna, con Michel Platini, le Roi e il pazzo talento di Zibì Boniek: «Il primo gol lo feci io e fu una liberazion­e. Ero stato alla Juventus per cinque anni, avevo vinto tre scudetti ma non mi ero sentito compreso. A Verona cambiò tutto», è il ricordo di Piero Fanna, il Turbo che il 26 settembre 1982 aprì il 2-1 dell’Hellas. Una partita che fu l’inizio morale di una scalata che portò fino al trionfo tricolore del 1985. Se la Juve di adesso è ancora il «paron», allora lo era persino di più, nell’immaginari­o collettivo, perché era un simbolo di potere trasversal­e, tra sport, economia e politica.

Verona divenne presto un feudo resistenzi­ale; il Bentegodi era la Little Big Horn che aspettava le giubbe degli yankees del generale Custer, al secolo Giovanni Trapattoni. I poster del gol di Preben Elkjaer continuano a circolare; il commento radiofonic­o di quella rete, cadenzato dalla cronaca di Roberto Puliero, si è tramutato in una suoneria telefonica. Il Commenda smoccolò e si imbufalì con una veemenza tale da far impallidir­e anche le sue più fumiganti sfuriate – e ce n’erano state tante, e così imponenti da riempire un’encicloped­ia, al punto che l’espression­e «piazzata garonziana» si è tramutata in un’icona più immediata del volto di Ernesto Calindri nella pubblicità del Cynar – il giorno in cui Roberto Bettega si aggiustò di braccio il pallone e segnò il definitivo 2-1 per la Juve. Uscì di matto quando (era il 1977 di un’Italia in rivolta) a Carlo Petrini fu annullato un gol all’ultimo minuto perché, sentenziar­ono l’arbitro, il signor Michelotti di Parma, e il guardaline­e, Gianfranco Zigoni aveva effettuato il cross che aveva portato alla rete con la palla già uscita sul fondo: «Niente vero – ricorda Zigo –, colpendola sollevai una nuvola di gesso: era sulla linea».

Erano tempi turbolenti, quelli. La Juve, dei padroni, lo era sul serio, emanazione della Fiat. Il resto, lotta di classe calcistica. Nella «bianca» Verona, vincere con il fiore all’occhiello della famiglia Agnelli è sempre stato una sorta di rivoluzion­e castrista. Schopenhau­er Bagnoli ha sempre votato socialista e la Juventus l’ha spesso suonata. Da allora le soddisfazi­oni sono state rade: la vittoria firmata Fabrizio Cammarata nel 2000. L’incornata di Gomez che valse un pari clamoroso nel maggio 2015. Oggi le cose sono diverse, quella di sabato al Bentegodi (si va verso il tutto esaurito) per l’Hellas sembra una sfida impossibil­e. Ma in questo romanzo della pelota che Eduardo Galeano avrebbe voluto raccontare il finale è ancora da scrivere.

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