«Così resisto con la mia etichetta nell’era digitale»
Il 3 febbraio festa d’anniversario all’Astra di San Giovanni Lupatoto con le band della scuderia. Il fondatore Bonato: «La musica è un mondo in transizione, maneggiamo social e digitale. Ma per i guadagni degli artisti si è fatta dura»
La musica e il suo mercato. «Un mondo in transizione». Fra un passato che non torna, un presente liquido, un futuro destinato a stabilizzarsi. «L’mp3 scomparirà in favore dello streaming. Disco e vinile solo per appassionati, collezionisti, quelli che si siedono e s’immergono in un ascolto più pensato: il che sembra quasi una chimera nell’era “second screen” dove guardi la tv e intanto sull’i-pad commenti ciò che stai guardando». La musica, oggi, è un treno ad alta velocità. Una velocità che il veronese David Bonato, 42 anni, misura nei cambiamenti degli ultimi dieci anni. Cioè gli anni esatti della sua etichetta Vrec, che s’occupa di pubblicazione e diffusione, anche perché «tutti gli artisti ormai si fanno il grosso del lavoro da soli, visti i costi bassi di produzione, per poi guardare a chi può editare i loro pezzi». Tra 2008 e oggi, 240 uscite, album, singoli e compilation, 71 artisti dal Veneto e tutt’Italia, in particolare «24 band che cantano in inglese, 34 in italiano, 13 cantautori e cantautrici». Sei di quelle band si esibiscono sabato 3 febbraio al Teatro Astra di San Giovanni Lupatoto (dalle 21, ingresso libero, presenta Francesca Cheyenne) nella festa del decennale Vrec: «I L’OR, prima band pubblicata, i Methodica, primi a girare l’Europa col loro prog-metal, i Kyras, il progetto pop con più passaggi radiofonici, gli Endless Harmony, che sono una nuova promessa, tutti da Verona, poi da Treviso i Down To Ground, che nel 2016 hanno anche aperto cinque date degli Skunk Anansie, e da Vicenza i Mistonocivo, il gruppo con la storia più importante».
Nel macrocosmo musicale, il microcosmo Vrec è un osservatorio dei mutamenti. Dal disco che tocchi al disco che clicchi. «Per vendite, la Vrec fa
50 e 50. Quando sono partito, mille copie del cd di una band erano il minimo da stampare: oggi quel minimo è 300. Io distribuisco anche nei negozi, tramite Audioglobe, perché i negozi restano comunque una vetrina. Ma il nuovo corso imposto dal digitale lo vedi ovunque, anche nelle piccole cose, tipo il lettore cd che scompare dalle automobili». Gli albori, allora, del digitale. «Creavi il cd, lo spedivi in America e là te lo caricavano su internet in quattro/sei settimane. Adesso il materiale va online anche in meno di sette giorni. Il che si riflette sugli artisti stessi: per fare un disco oggi bastano computer e microfono, il rap si presta a questa accessibilità, difatti è il genere che sforna più proposte».
Un’etichetta lavora soprattutto lì, dunque, sul web. «I social per comunicare: Facebook ancora domina, Instagram e Twitter per ora stanno dietro. Poi i negozi digitali, con Spotify che cura molto il profilo. Quindi YouTube: il video, gratuito, condivisibile, è diventato il meccanismo promozionale più necessario. Tradizioni rimaste? L’ufficio stampa per promuovere la band sui portali musicali online, riviste e quotidiani. La radio, invece, rimane molto chiusa alle nuove proposte, così come la tivù». Il problema spirituale: «Tanta musica e poca voglia di “cercarla”, soprattutto dal pubblico». E il problema economico: «Quello vero è la differenza di valore tra ascolti e guadagno dell’artista. A spanne, con mille streaming si arriva a 1 euro. Per questo in Italia non ci sono rincalzi ad Afterhours, Marlene Kuntz, Subsonica, Negrita. Band la cui longevità è data anche dal rientro economico avuto ai tempi in cui il disco fisico era al centro di tutto».