«Te do ’na testata» al sottoposto Ma l’arbitro-maresciallo non voleva minacciarlo: assolto
Domenica sera era a bordo campo al Sant’Elia di Cagliari per la partita tra la squadra sarda e il Milan.
Ieri, invece, giocava un altro importante match al Tribunale militare di Verona. Perché oltre a essere uno degli arbitri più promettenti del calcio italiano (ha fatto il suo esordio in A a ottobre dirigendo Atalanta-Hellas a Bergamo), Livio Marinelli è anche un maresciallo dell’esercito.
E proprio nella veste di alpino era finito di fronte ai giudici, accusato di minaccia aggravata nei confronti di un suo sottoposto. Un’accusa da cui ieri mattina è stato assolto dal collegio presieduto dal giudice Massimo Bocchini, perché «il fatto non costituisce reato».
Assistito dall’avvocato Antonio Vele, il maresciallo all’epoca in servizio al 7° Reggimento Alpini di Belluno, il 19 febbraio del 2016 aveva avuto una breve discussione con un caporal maggiore che si era presentato in ritardo a un’esercitazione. Alla richiesta di spiegazioni, il sottoposto aveva raccontato di essersi attardato in bagno. Ma il maresciallo Marinelli, di fronte agli altri soldati, lo aveva ripreso invitandolo a non «prendermi in giro». L’imputato, come emerso nel corso del processo, aveva spiegato di aver visto il caporal maggiore poco prima sulle scale, con la mimetica addosso: «Non eri in bagno».
E di fronte alla bugia del sottoposto, aveva concluso con un’esternazione di disappunto, in dialetto romanesco (è originario del Lazio): «Non mi devi prendere in giro, altrimenti vengo lì e te do ’na testata». Parole che si erano tramutate in un’imputazione secondo l’articolo 196 del codice penale militare. In sede di udienza preliminare il gip aveva inizialmente emesso sentenza di non luogo a procedere, ma la procura militare aveva presentato ricorso in Cassazione e alla fine l’arbitro-maresciallo si era ritrovato a processo, rischiando una condanna fino a tre anni.
Ma i testimoni hanno smontato l’impianto accusatorio riconoscendo che nelle parole di Marinelli non vi era alcun intento minaccioso, né alcun profilo di ingiuria, e sottolineando il suo comportamento esemplare in caserma. La difesa ha poi fatto emergere che l’espressione «te do ’na testata» fosse in realtà un intercalare utilizzato di frequente dall’assistito, un’espressione tipica del parlato laziale. Triplice fischio: arbitro assolto.