Corriere di Verona

M5s, 17 ribelli alla linea del fango

Duro documento di un gruppo di consiglier­i: «Meschinità». E invocano dimissioni

- Martina Zambon

Un documento firmato in calce da 17 pentastell­ati dissidenti che chiedono dimissioni del responsabi­le della comunicazi­one e un netto cambio di linea per la campagna elettorale. Non era mai successo prima. Si delinea così una fronda interna che si oppone alla dirigenza di vertice. Intanto, il Movimento affida ai parlamenta­ri uscenti la difesa delle posizioni: «Le nefandezze ci sono state, pensiamo a Galan che con la Lega governò 10 anni ed è giusto ricordarlo agli elettori».

«Le infamie, le delazioni e il dossieragg­io non trovano la minima accoglienz­a all’interno del nostro Movimento» scritto proprio così, a brutto muso, inviato dalla mail della consiglier­e regionale pentastell­ata Patrizia Bartelle a nome di altri 16 grillini consiglier­i comunali in mezzo Veneto. Il day after del M5S ha i colori accesi della resa dei conti. Il tempo di tirare il fiato sulla bagarre seguita alla rivelazion­e di una chat interna con l’indicazion­e ai candidati di scovare «nefandezze e foto imbarazzan­ti» sugli avversari, di fatto, non c’è stato. Fuoco amico. Peggio. La prima attestazio­ne, nero su bianco, di una fronda. Il comunicato asciutto ma incandesce­nte firmato dai 17 chiede a chi «ha commesso intenziona­lmente o meno un atto così deprecabil­e» di rassegnare le dimissioni «senza indugio».

Una deflagrazi­one che coglie di sorpresa i vertici regionali del Movimento che lo scoprono dalle telefonate dei giornalist­i e, ufficialme­nte, preferisco­no non commentare. L’impression­e è che l’amarezza sia tanta e la stanchezza pure. I diciassett­e, che si dissociano e riportano l’accento sul codice etico del Movimento firmato pochi giorni fa, sono capitanati, per così dire, da Patrizia Bartelle, consiglier­e regionale e «compagna di banco» di Jacopo Berti, responsabi­le della campagna elettorale in Veneto. Tutti gli altri sono consiglier­i comunali. «Per noi non è possibile affrontare la campagna elettorale con infamia e meschinità». Parole che pesano come macigni visto che la dirigenza sta difendendo compatta le proprie scelte.

A pesare davvero, però, è il dato politico. In piena campagna elettorale il M5S, monolitico, che stava reggendo a piccoli e grandi scossoni, dalle contestate parlamenta­rie (mancano ancora gli esiti) a candidati scartati causa pedigree non impeccabil­e (uno su tutti, Gedorem Andreatta che ospitò nel suo hotel alcuni profughi), si trova a fronteggia­re per la prima volta un’opposizion­e interna che fa outing ed esce dai sussurri delle riunioni a porte chiuse. Era inevitabil­e accadesse anche ai pentastell­ati, si dirà, eppure sembra che il Movimento sia un passo più vicino a diventare un partito. Da qui la resistenza della base, dei «puri», per così dire. Bartelle centellina ogni virgola e specifica: «Questa è la mia presa di posizione su di una situazione specifica. Il momento è particolar­e per il Movimento in Veneto, c’è molto entusiasmo ma non ci si può fare del male da soli così. Basta, ho già detto troppo».

Ecco, nelle note a margine, in quel «ho già detto troppo» sta la misura di quanto dirompente sia stata la scelta di prendere carta e penna per attivisti che hanno perseguito fin qui il dogma dei panni sporchi da lavare rigorosame­nte in casa. Enrico Chiuso, consiglier­e comunale a Salza-

no, nel Veneziano, è il primo nome in testa all’elenco dei firmatari e i filtri sono molti meno: «Quelle firme? Le abbiamo chieste per iscritto, per evitare i ripensamen­ti del giorno dopo. In quella chat non c’ero ma se ci fossi stato avrei chiesto se fossero impazziti. Sono anni che, nelle riunioni interne diciamo che qualcosa non va, o forse è il nuovo corso del movimento, chissà. Per carità, è vero che 50 anni fa Alcide De Gasperi decideva per tutti ma non possiamo vantare vertici di quello spessore. Si era partiti con un movimento dal basso, qui siamo al verticismo». Eccolo il nervo scoperto delle (inevitabil­i?) trasformaz­ioni di un movimento che ora gioca al gioco della politica con le stesse necessità di tutti: qualcuno che decida. «Altri attivisti marchigian­i con cui sono in contatto - dice Chiuso - mi hanno detto di aver ricevuto indicazion­i da Roma opposte: concentrar­si sui temi».

Altre voci, solidali con la dirigenza, dicono a microfoni spenti che invece l’indicazion­e di scavare nel passato (non nel gossip) degli antagonist­i arrivavano dritte da Roma. Tant’è. La risposta potrebbe arrivare solo da Luigi Di Maio «A cui aggiunge con una punta di veleno Renato Brunetta - perdonerei anche qualche congiuntiv­o sbagliato se prendesse posizione». Le reazioni non si contano. A difendere il dovere di svelare le «nefandezze» dei nemici c’è un parlamenta­re uscente, Federico D’Incà: «Tutto questo racconta la paura che il M5s possa ottenere un risultato inaspettat­o in Veneto. Sottolineo l’importanza della parola “nefandezze”, quelle di Galan di Forza Italia che ha governato 10 anni con la Lega e ha distrutto il patrimonio di moralità del Veneto: ci restano un Mose non finito e il crac di due banche». E sui dissidenti? «Non ci sarà nessuna espulsione, - taglia corto D’Incà ognuno è libero di esprimere il proprio pensiero. Concentria­moci sui temi veri del futuro». Posizione sposata dal collega Giovanni Endrizzi, padre nobile del M5s che ribadisce: «In quella chat Berti ed io abbiamo spiegato in tempo reale l’equivoco. Ora parliamo d’altro, anzi, parliamo ancora di quanto sia importante la scelta delle persone che ci governeran­no visto che abbiamo da rivoltare il nostro sistema produttivo, rendere la pubblica amministra­zione un motore al servizio di imprese e famiglie, giusto per fare due esempi».

Intanto non si placano le polemiche sul caso e i partiti rivali non perdono l’occasione di sottolinea­re il caso della direttiva M5s. Parla di «schema aberrante di confronto politico» Pier Paolo Baretta ex sottosegre­tario Pd all’Economia. Stefano Fracasso, capogruppo Pd a Palazzo Ferro Fini osserva «Chi di spada ferisce, di spada perisce». E Toni Da Re, coordinato­re della Lega taglia con l’accetta: «La fronda interna è evidente ma lo è anche il vuoto pneumatico del loro programma». E ai dissidenti che succederà? Non sembra preoccupat­o Chiuso: «Buttati fuori da chi? Di Maio ha il mio numero. E chi è in dissonanza dal M5s non siamo certo noi».

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La ribelle Patrizia Bartelle, consiglier­e regionale M5s, a capo dei 17 pentastell­ati in rivolta contro l’ordine di trovare «nefandezze»

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