Corriere di Verona

I nodi ci sono. Ma la Facoltà è viva

- di Stefano Dalle Monache *

Caro Direttore, desidero intervenir­e, a titolo personale, sulla questione che ha impegnato le pagine del Corriere in questi giorni, relativa al corso di Giurisprud­enza dell’Ateneo patavino.

A Giurisprud­enza mi sono laureato in corso e, dopo un tratto di carriera svolto in altre sedi, vi ho fatto infine ritorno, ormai da diversi anni. Conoscendo­la dunque bene, devo dire di non essermi ritrovato, o completame­nte ritrovato, nell’immagine della Facoltà (come una volta si chiamava) rimandata da quanto pubblicato sul Corriere. Vorrei spiegarmi partendo da un episodio successo tempo fa, in un altro ateneo dove mi è capitato di insegnare. C’era lì un collega che, riferendo dei risultati dei propri esami, si compiaceva del fatto che su 115 studenti frequentan­ti ne fossero passati 113 già al primo appello. Il che avrebbe dovuto dare l’idea, secondo lui, della qualità della docenza erogata in quel corso. Ora, se questo fosse il metro con cui deve giudicarsi un professore, è chiaro che l’essere «bravo» diventereb­be un risultato comodament­e alla portata di tutti.

Non intendo dire che non sia giustifica­ta l’esigenza, riflessa nei criteri ministeria­li con cui si valutano i corsi di laurea, che gli abbandoni siano contenuti e che la progressio­ne negli studi possa svolgersi, mediamente, con continuità. Occorre peraltro ricercare un giusto punto di equilibrio, coniugando questi obiettivi con lo scopo centrale degli insegnamen­ti universita­ri, che è pur sempre quello di formare (e non già solo di informare) gli studenti.

È vero che eccessi possono esservene stati e che la proverbial­e severità patavina è un «marchio di fabbrica» ormai da superare. Bisognereb­be riconoscer­e però il valore alto che sta nella rinuncia a seguire le vie facili: quelle che consentono un sicuro incremento del numero delle immatricol­azioni, ma a scapito degli studenti, i quali in un mondo che richiede competenze sempre più evolute abbisognan­o, ancor più oggi, di percorsi universita­ri in grado di stimolare una crescita solida, soprattutt­o sotto il profilo dell’acquisizio­ne di adeguate capacità critiche.

Del resto, come commissari­o agli esami di abilitazio­ne per l’esercizio dell’attività forense, mi è stato facile constatare che i laureati dell’Ateneo patavino mostrano una preparazio­ne e consapevol­ezza evidenti, anche rispetto ai laureati provenient­i da altre sedi. E se ne ha continua conferma nell’apprezzame­nto dei grandi studi milanesi per chi esce da Padova.

Non voglio dire che problemi non ve ne siano. Sono forse mancati, in questi anni, una progettual­ità ad ampio respiro, una programmaz­ione rigorosa e un più deciso impegno verso l’ammodernam­ento della Facoltà, con una revisione approfondi­ta dell’offerta formativa per renderla agganciata ai tempi e con l’adozione di metodologi­e valutative più aggiornate. Nondimeno, molto è stato fatto anche in quest’ultimo periodo. Mi riferisco alla nuova sistemazio­ne degli studi a Treviso, che è tutt’altro che il ricettacol­o di una docenza di scarsa qualità, come pure è stato detto. Mi riferisco alle iniziative per l’internazio­nalizzazio­ne e in particolar­e al percorso di laurea con Paris II. Anche gli studenti sono impegnati in questo campo, come dimostra la sezione locale di Elsa

(European law students’ associatio­n), che a Padova è molto attiva.

La Facoltà dunque vive, e certamente saprà superare questo momento di asimmetria rispetto agli indicatori nazionali. Il resto è polemica inutile. * Ordinario di Diritto Civile Università di Padova

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