La maternità inconsapevole Cacciari davanti a Maria
L’Annunciazione Un destino straordinario che si intreccia con la storia dell’umanità Il senso di un’icona
Il titolo è scandalosamente paradossale e al tempo stesso asseverativamente perentorio: Generare Dio (Il Mulino, € 12), inaugura una nuova collana «Icone. Pensare per immagini», che sollecita molteplici interrogativi ai quali non pretende di dare esauriente risposta, piuttosto suggerendo la fascinosa resistenza delle contraddizioni, che anche in questo caso annunciano e circoscrivono il tema e il problema.
A dirigere la collana, come a scrivere il libro, è Massimo Cacciari, che in questi anni ha insegnato a rileggere la storia sacra non tanto alla luce della fede, quanto piuttosto come esito di un lungo e inconcluso percorso che si intreccia con l’esperienza degli uomini, semplicemente irriducibile alla ragione e alla ragionevolezza.
«L’icona di Maria diviene», comincia Cacciari, accompagnandosi a quella del figlio che stringe tra le braccia, come nel Mantegna del milanese Poldi Pezzoli: ella lo ha atteso, ha scelto di concepire il bambino che la ha scelta, e quindi lo ha generato «senza conoscerlo», in un rapporto che per un verso sublima quello materno che tutti accomuna, ma per l’altro da ogni altro si distingue perché inizia senza la necessaria premessa e quindi lo condanna a una straniante inconsapevolezza, a una inconsolabile solitudine, dove il terzo è davvero un angelo, che nulla ha in comune con gli uomini, ma nulla anche con Dio.
Maria è «colei-che-genera, la Donna che ha generato il Figlio, tuttavia è anche colei che l’ha atteso, che lo genera senza conoscerlo, che lo cerca senza trovarlo, che lo trova e lo perde, che lo piange e lo ritrova o spera di ritrovarlo», a lei tocca lottare per salvarlo e custodirne la testimonianza, e noi riusciamo a pensarla attraverso la innumerevole varietà e ricchezza delle sue immagini che si è accumulata nel tempo persino più pregnante delle tante altre rappresentazioni che della stessa anche la letteratura ha raccolto, senza che le prime valessero come illustrazioni delle altre o l’incontrario.
Il primo mistero è quello dell’Annunciazione, quando l’angelo si presenta alla donna non per violarne l’intatta purezza, che invece ribadisce, ma per affidarle uno straordinario destino che la distinguerà da ogni altra e per rassicurarla di non essere sola di fronte alla scelta che le spetta, che la provvidenza vigilerà sul suo turbamento e la sua paura sostenendola nel «volere la volontà divina», nel piegarsi ad essa concependo il figlio e mettendolo alla luce, restando madre, distinta e separata da lui; e l’estremo è quello della Croce e della Pietà che la restituisce all’esperienza: «la perfetta com-passione è pertanto il segno di Maria, dal momento della nascita del figlio a quello della Croce».
In sostanza Cacciari insegue «una fenomenologia dell’invisibile nella rappresentazione sensibile di Maria», ella dilegua nel simbolo generando vergine il figlio del Padre che «eternamente genera», ma non può sottrarsi al suo essere umana, non può sfuggirgli senza cancellare la concreta presenza del Figlio, la sua «incarnazione», senza trasformarsi in idea, restando mediatrice.
Maria genera il Signore, nel suo ventre matura il Figlio, il figlio è carne sua, a sua immagine, ma al tempo stesso «sta fuori» da ogni relazione precedente, pronto a perdersi per compiere il proprio destino: «Uniti nella carne essi esprimono insieme lo svuotarsi del divino, in quanto estrema, insuperabile rivelazione della sua stessa essenza».
È pur vero che ogni riassunto, come ha scritto monsignor Ravasi, rischia di svilire la luminosa chiarezza dell’immagine che Cacciari disegna della «piena di grazia», ma bisognerà pure, al di là delle icone figurative e delle figure che la poesia ci ha lasciato, interrogarsi sul senso che esse prepotentemente consegnano alla intera cultura umanistica per non fermarsi attoniti dinnanzi alla bellezza e sentire rinnovarsi lo slancio di ogni ansia di verità.