San Fermo, il nuovo soffitto ligneo fa il tutto esaurito
L’occasione era di quelle rare, e c’è chi ne ha approfittato. Il soffitto ligneo di San Fermo, un’enorme nave rovesciata, lunga 54 metri, per una quantità indefinita (stimabile solo in tonnellate) di legno, è destinata a rimane. Ma solo per altre due settimane resterà l’ultima impalcatura. Quella che consente di salire fine a rasentare la volta e ammirare il fine intarsio e i dipinti dei 460 santi, uno per ogni capriata.
Per chi non ha pensato a prenotare, però, le visite saranno impossibili. Lo fa sapere don Maurizio Viviani, responsabile della diocesi per il patrimonio culturale. «Non possiamo accettare più di un certo numero di persone per turno - fa sapere - così abbiamo dovuto chiudere le prenotazioni a tetto raggiunto. E giò da settimane dobbiamo dire di no a chi ci chiede di poter salire sulle impalcature».
Insomma, è il classico caso di un tesoro «nascosto» del patrimonio culturale scaligero che viene riscoperto dai veronesi, e con grande entusiasmo. Ieri mattina è stato il turno di un pubblico selezionato tra le autorità cittadine, dal prefetto Salvatore Mulas, al rettore dell’università Nicola Sartor, passando per il dirigente dell’Ufficio scolastico territoriale Stefano Quaglia e per il comandante dei carabinieri, Ettore Bramato. A rappresentare il Comune, l’assessore alla Cultura, Francesca Briani. In prima fila, il vescovo Giuseppe Zenti. «Un’opera del genere è la prova che il medioevo è stato tutt’altro che un periodo buio - ha detto - si tratta di una testimonianza unica, che racconta non solo l’arte, ma anche la storia e l’economia della nostra città».
Una storia che passa dall’attività degli «alighieri» e dei «radaroli», le gilde che si occupavano del trasporto del legname via Adige, per poi lavorarlo. «I tronchi restavano ad asciugare per in anno nelle piazze cittadine - fa sapere l’ingegnere Alberto Maria Sartori, che ha seguito l’intervento di restauro - un’usanza che è stata interrotta solo dall’arrivo delle truppe di Bonaparte. È anche per questo e per l’alta qualità del legno di rovere che possiamo ammirare dopo secoli questo lavoro ciclopico». La sfida storica continua. «Contiamo di dare un nome all’autore del progetto», confida ora Sartori.