«La rapina al market? Chiedo scusa alla cassiera Ma prometto che riprenderò a curarmi al Sert»
Evaso e arrestato con la scacciacani: il bandito trasfertista resta in cella indiziato per altri colpi
Non si è trattato propriamente di un interrogatorio, bensì di una serie di spontanee dichiarazioni. E quanti, a partire dallo stesso giudice per le indagini preliminari Luciano Gorra, speravano che ieri a Montorio Giuseppe Macrillò avrebbe fatto almeno qualche ammissione sull’inquietante escalation di rapine ai danni delle farmacie registrate negli ultimi tempi in città, è rimasto deluso.
Assistito dall’avvocato Mauro Ferrari (ieri sostituito dal collega Alessandro Natali), il calabrese arrestato lunedì sera in flagranza per il colpo appena messo a segno con una scacciacani (la stessa arma usata nelle farmacie) al supermercato Vivo a San Massimo, si è limitato a chiedere «scusa alla cassiera per averle puntato la pistola in faccia». Inoltre, ha ammesso la recente evasione dai domiciliari a cui avrebbe dovuto sottostare a Isola Capo Rizzuto per altri reati (furti e rapine, sua specialità) contro il patrimonio. Ma Macrillò ha inoltre fatto riferimento ai suoi irrisolti problemi di tossicodipendenza (del resto, risultava anche un «sorvegliato speciale» per ulteriori reati di spaccio), spiegando al giudice che in Calabria si stava sottoponendo a una serie di terapie al Sert di Crotone. «Il problema - ha detto al gip - è che di recente mio padre è morto e io non mi sono più ripreso. Ero sconvolto»: di qui, stando alla sua versione, l’«improvvisa decisione» di violare gli arresti domiciliari a cui si doveva attenere per ordine della locale magistratura. «Ero impazzito dal dolore ha affermato Macrillò -. Così ho anche interrotto le cure a cui mi stavo sottoponendo al Sert». A quel punto si era reso conto di essere al verde: «Cosa potevo fare allora? L’unica cosa che ho sempre saputo fare, compiere rapine». Di qui la sua trasferta alla volta di Verona, dove secondo gli accertamenti di polizia e carabinieri (che erano sulle sue tracce da giorni e lo hanno arrestato a coronamento di un’operazione congiunta) avrebbe trovato ospitalità nell’abitazione di un conoscente, risultato estraneo alle indagini.
A rimetterlo nel mirino delle forze dell’ordine a un migliaio di chilometri da casa, quell’auto, una vecchia Uno, rubata a Verona, «agganciata» lunedì sera durante il servizio anti rapine messo in atto da Arma e Squadra mobile. Quando è stato bloccato e condotto in carcere, il bandito calabrese era appena riuscito a farsi consegnare quasi 1300 euro in contanti da una cassiera del supermercato, armato di una pistola a salve, dotata di proiettili a scoppio.«Mi dispiace per averla fatta spaventare, mi scuso con lei di questo», ha insistito ieri Macrillò, aggiungendo che intende «ricominciare a curarmi e a seguire le terapie al Sert per uscire dalla mia tossicodipendenza». Non essendo stato possibile al gip Gorra interrogarlo, le domande sulle sue effettive responsabilità sono rimaste senza risposta: inevitabile, quindi, che sia rimasto in carcere. Ma le indagini di carabinieri e polizia proseguono passando in rassegna anche i minimi dettagli: al vaglio, soprattutto filmati e testimonianze. Nel mirino, non solo Macrillò ma anche eventuali complici.