Serenissima biblioteca La storia vista dai libri
Un volume prezioso, curato da Antonella Barzazi, ripercorre l‘avventura delle collezioni librarie di Venezia. Dall’istituzione della Marciana ai patrimoni privati, un viaggio lungo due secoli: tra successi e declini
Si possono raccontare le vicende della storia culturale di uno Stato e di una città inseguendo il formarsi e il trasformarsi delle sue «collezioni librarie» nelle quali si specchiavano gli interessi e i progetti della sua classe dirigente?
In genere queste ricerche restano chiuse entro un orizzonte specialistico che, se dà puntualmente conto di sequenze di fatti, acquisizioni, trasferimenti, non riesce ad animare la scena che pure tutto questo ha contribuito a disegnare e determinare. Ad Antonella Barzazi è riuscito di andare oltre la pura registrazione dei dati e di ritrovare tra le scansie dei libri, ulteriori testimonianze di quella storia gloriosa e successivamente crepuscolare che la civiltà veneziana visse non senza orgoglio dal Rinascimento fino alla sua fine e che ai libri assegnò sempre un’importanza centrale.
Il volume
Collezioni librarie in una capitale d’antico regime. Venezia secoli XVI-XVIII (Edizioni di Storia e Letteratura, pp. XIV-260, € 38,00) vi sorprenderà, perché «di un percorso originale come quello veneziano, svoltosi certamente all’insegna della ricchezza, ma segnato dalla discontinuità e da una decisa autoreferenzialità» offre una ricostruzione appassionante senza mai perdere di vista la precisione dei riferimenti bibliografici, ma anche la varietà e la complessità.
Il punto di partenza, maturato tra la fine del ‘400 e la seconda metà del secolo successivo, coincide con «l’attribuzione di una sede stabile alla libreria di San Marco» che accoglieva il prestigioso lascito di Bessarione, ponendosi al centro di «un sistema caratteristico» cui concorrevano numerose le collezioni librarie delle famiglie aristocratiche e degli ordini religiosi, le quali proprio in quegli stessi anni diventano oggetto del severo controllo della censura romana e, quindi, terreno di scontro tra il potere politico ed ecclesiastico.
In questo contesto la Marciana non diventò allora e praticamente mai fino alla caduta della Repubblica una biblioteca di Stato per sostenere gli studi e le ricerche che concorrevano a definire l’immagine della Serenissima, quanto piuttosto una raccolta, chiusa in se stessa, di carte la cui conservazione era indispensabile per non distruggere memorie di grande rilievo. Nella Venezia tormentata dallo scontro tra giurisdizionalisti e la Curia le biblioteche diventarono una questione decisiva, che a sua volta metteva in crisi le relazioni tra i membri della repubblica dei letterati e l’intero sistema delle relazioni tra gli umanisti, accelerando la crisi del primato dell’editoria veneziana, che riuscì a riprendersi solo alla fine del Seicento e all’inizio del Settecento.
È in questo clima di rinnovamento che il sistema bibliotecario veneziano riprese vitalità e vide risvegliarsi l’interesse degli studiosi, al centro di questa stagione, suo promotore principale, c’era Apostolo Zeno, «l’attore forse più influente sulla scena bibliotecaria veneziana tra lo scorcio del Seicento e la prima metà del Settecento» il fondatore del «Giornale dei Letterati d’Italia» (1710) e il riformatore del melodramma durante gli anni trascorsi alla corte di Vienna, che, tornato a Venezia, raccolse attorno a sé, alla sua biblioteca e a quella contigua dei Domenicani, un circolo di studiosi che riaccese l’interesse su Venezia, la sua editoria e i suoi scrittori. Alla fine della sua vita la biblioteca di Zeno raccoglieva 17.500 volumi a stampa e 600 manoscritti che finirono alla Marciana quando anch’essa dovette omologarsi all’organizzazione bibliotecaria moderna, ma durante la sua vita aveva contribuito a fare del bibliotecario «l’incarnazione per eccellenza del l’intellettuale: un mediatore culturale, profondamente calato nei progetti e nelle aspirazioni della Repubblica delle lettere».