Agroalimentare da record «Ma l’ipotesi dazi Usa è una minaccia grave»
LA CORSA DELL’AMARONE, I NUOVI PERICOLI
Le esportazioni dei prodotti veronesi si accingono a battere nuovi record: sono attesi dati Istat in questi giorni che certificheranno un’ulteriore crescita nel 2017 delle vendite negli Stati Uniti, oltre quota 625 milioni raggiunta nel 2016. E di questa cifra larga parte è rappresentata dall’agroalimentare, soprattutto dal vino: l’Amarone è riuscito ad aumentare l’export in Usa del 10% lo scorso anno. Ma l’ipotesi di una guerra commerciale scatenata dal presidente Trump minaccia questo successo. Da Giuseppe Riello a Olga Bussinello e Emilio Pedron, le voci allarmate dell’economia e del settore.
Per ora è solo una minaccia, peraltro indiretta. Ma l’idea che un’eventuale guerra commerciale America-resto del mondo finisca per regalare dazi e barriere fa tremare i polsi. Perché gli States rappresentano in questi anni la grande molla sulla quale rimbalza l’export dell’Azienda Verona, soprattutto l’agroalimentare. Quindi il vino, la pasta, i dolci. I pezzi forti di casa.
Finora Donald Trump ha parlato di acciaio e alluminio, facendo la voce grossa direzione Berlino. Però si sono anche ipotizzate ritorsioni Ue a base di tasse sull’importazione in Europa di bourbon
whiskey e succo d’arancia. E se si parte con il food and beverage, non si sa dove va a finire. Chi vende dall’altra parte dell’Oceano potrebbe rimediare a sua volta danni ingenti.
Per capire cosa c’è in ballo, occorre ricordare qualche numero. Il totale delle esportazioni veronesi negli Stati Uniti, nel 2016, ha raggiunto i 645 milioni di euro, valore che si appresta a crescere ulteriormente. «Attendiamo a ore i dati del 2017 ma - ricorda Giuseppe Riello, presidente della Camera di commercio - già a settembre scorso le vendite negli Usa segnavano 511 milioni di euro, quindi si presume che sarà un nuovo record. L’agroalimentare ha pesato per un quarto sull’export: vino per il 19% e formaggi per il 6%. La seconda voce sono stati i macchinari e prodotti siderurgici che hanno pesato per poco più di un quinto sul totale (21,3%)». Quindi, «la preoccupazione per eventuali dazi su merci europee è proporzionale all’importanza che il mercato statunitense ha per i nostri primi tre comparti che sono la meccanica, il vino e l’agroalimentare. Dal 2009, gli Stati Uniti sono stati la nuova frontiera delle imprese veronesi, con una performance sempre al rialzo, mentre i nostri mercati di riferimento tradizionali, quelli europei, boccheggiavano per la crisi. Confido che, dopo i proclami, prevalga la razionalità».
Restringiamo il campo di osservazione. «Gli Stati Uniti rappresentano per l’Amarone della Valpolicella Docg il primo mercato di sbocco extraUe», scandisce Olga Bussinello, direttore del Consorzio di tutela, «con una quota di mercato sul totale di export pari al 13%, circa 20 milioni di euro in valore». Nel 2017 le esportazioni del Grande Rosso verso quel Paese hanno registrato un’ulteriore crescita a doppia cifra (+10%), con un incremento più che raddoppiato rispetto alla media nazionale del periodo. Tendenze analoghe per il Valpolicella doc e il Ripasso. In tutto, per i prodotti di riferimento del Consorzio si sfiora quota 40 milioni di euro. Solo negli States. Ce n’è abbastanza per preoccuparsi, «anche perché - ricorda Bussinello - spesso l’agroalimentare è la merce di scambio nei compromessi che l’Unione europea accetta negli accordi sul commercio mondiale». E se aggiungiamo l’intrinseca debolezza dell’Italia post-voto, con un governo certamente ancora in carica ma senza solide basi politiche, la situazione è traballante. «I fattori in gioco sono tanti. I contratti di vendita in Usa si fanno con impegni pluriennali, se davvero fossero introdotti dazi le rinunce da parte dei produttori per ottenere il loro mantenimento sarebbero inevitabili».
Dalle singole aziende arrivano voci del tutto analoghe. Emilio Pedron, amministratore delegato di Bertani Domains, gruppo che controlla sei cantine, parla di «minaccia non da poco. Ma sono fiducioso che non si arrivi a tanto. Una politica di dazi incrociati è il ritorno a un passato lontano, una eventuale escalation sa di retroguardia». Il manager spera che vada a finire come è già capitato con il presidente americano: molti tuoni e assai meno burrasche. «Anche noi rischiamo: gli Usa sono il nostro secondo mercato, parliamo del 20% di vendite, 4-5 milioni su 25 totali, e l’Amarone è sempre la voce principale». Nel mondo del food & beverage non ci sono solo le cantine a tendere le orecchie. Dalla Vicenzi, la spa dei biscotti e della piccola pasticceria che ha una filiale a Miami e punta il traguardo dei 10 milioni di vendite negli States, allargano le braccia: «Stiamo guardando con attenzione l’evoluzione del tema. Siamo sorpresi di fronte a queste nuove barriere, la speranza è che non coinvolgano le nostre nicchie di eccellenza».
Giuseppe Riello Confido che oltre i proclami prevalga la razionalità Olga Bussinello Agroalimentare spesso vittima dei compromessi dell’Unione europea