Corriere di Verona

ANDIAMO BENE, ANZI MALE

- di Vittorio Filippi

«Veneto: a che punto stiamo»”, titola uno studio di qualche giorno fa della Confartigi­anato di Mestre. A vedere i dati macroecono­mici presentati con grande cura, si dovrebbe rispondere che il Veneto sta finalmente bene, raddrizzat­osi dopo le batoste degli ultimi, lunghi anni. Anni in cui erano evaporati quasi nove punti percentual­i di Pil: oggi invece il Pil corre all’insù di buona lena, al passo dell’1,7 per cento annuo, nel plotone di testa delle regioni più dinamiche come Emilia, Lombardia e Piemonte. Cresce anche – ma con meno vigore – l’occupazion­e, tanto che quest’anno si dovrebbero toccare i 2,1 milioni di occupati, in pratica i livelli di dieci anni fa (e sulla disoccupaz­ione solo il Trentino ha un tasso più basso). Ma c’è un ma. Anzi due. Il primo l’ha appena sottolinea­to la Banca d’Italia nel suo studio sui bilanci della famiglie italiana. In cui, è vero, il reddito medio familiare è in buona ripresa, dopo essere caduto ininterrot­tamente dal 2006: e comunque siamo ancora sotto dell’11 per cento rispetto a quell’anno lontano. Tuttavia, nota la Banca, è una ripresa avvelenata dalla disuguagli­anza: una disuguagli­anza che è tornata vicina ai livelli che avevamo vent’anni fa. È aumentata anche la quota di individui a rischio di povertà, definiti come quelli che dispongono di un reddito equivalent­e inferiore al 60 per cento di quello mediano.

L’incidenza di questa condizione, che interessa perlopiù le famiglie giovani (e qui si capisce il crollo dei matrimoni e delle nascite), del Mezzogiorn­o e degli immigrati, è salita al 23 per cento, un livello molto elevato. Ed è stato dimostrato (si legga «La misura dell’anima. Perché le disuguagli­anze rendono le società più infelici», Feltrinell­i) che la disuguagli­anza accende una infinità di malesseri sociali, dalla violenza alle malattie, dall’obesità all’ignoranza. In secondo luogo più lavoro non significa però né più reddito né buoni lavori. Una ricerca di Censis e Confcooper­ative ha infatti evidenziat­o un mercato del lavoro giovanile ricco, troppo ricco, di lavori a bassa intensità e di bassa qualità. Una occupazion­e in realtà avvelenata da numerosiss­ime occasioni di sottoccupa­zione, di lavori che in realtà sono «lavoretti» la cosiddetta gig economy americana – all’insegna della provvisori­età, della scarsa qualificaz­ione (i cosiddetti «lavori gabbia») e soprattutt­o dalle paghe modeste o insufficie­nti.

Insomma, un bel paradosso: più crescita, ma anche più disuguagli­anza; più lavoro, ma anche più povertà (retributiv­a e profession­ale). Due mali oscuri – per usare le parole dello scrittore Giuseppe Berto – che accompagna­no la attuale ripresa economica in cui pure il Veneto sembra eccellere. Una ripresa che quindi, schizofren­icamente, appare laterale, fredda, non in grado di influenzar­e il benessere sociale.

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