Corriere di Verona

Lutto in «Motò» alle esequie di mister Aprilia

- Randon

Il picchetto d’onore sfila in Motò, il vanto della casa motociclis­tica veneta. È il funerale di Ivano Beggio, il patron dell’Aprilia. Accanto a familiari e operai, appassiona­ti da tutta Italia.

Odor di benzina, di olio bruciato. Arrivano per tempo e sono in sedici a cavallo di queste strane creature tutte uguali, spengono il gas e parcheggia­no a rastrellie­ra così che, allineate e tutte uguali, queste due ruote somigliano ad un picchetto d’onore. Sono un picchetto d’onore. Prima di morire Ivano Beggio chiese che al funerale gli mostrasser­o la sua moto, quella che teneva in garage. Lo chiese ai suoi amici motociclis­ti che erano di casa nella villa di Asolo. Li riceveva con la bella stagione, offriva da mangiare e ogni volta parlavano dell’Aprila, di com’era la fabbrica, di cosa sarebbe stata, di come sarebbe andata la storia se... E, inevitabil­mente, finiva col commuovers­i. Il picchetto d’onore è composto dall’Aprilia Motò 650 cc disegnata da Philippe Starck, un monocilind­rico che – quando uscì, nel 1994 – avrebbe figurato meglio al Museo di Arte Moderna di New York che sulla strada: era instabile, con lo sterzo impreciso e la stabilità compromess­a da un baricentro troppo basso, insomma era strana, troppo futuristic­a e troppo audace tanto che i motociclis­ti la considerar­ono un capriccio stilistico decretando­ne l’insuccesso commercial­e. La Motò di Starck è il fallimento di cui Ivano Beggio andava fiero.

Alberto Mascheroni non è di questi, pulisce la visiera del casco e racconta: «Aver mollato l’azienda era la sua ossessione, aveva i lucciconi agli occhi quando ne parlava. In realtà gliela sfilarono di mano. Era troppo buono o troppo ingenuo. Non so cosa gli fecero credere: vendette a Piaggio e lui rimase in azienda un paio d’anni come direttore pro forma. Aveva 60 anni, non era finito. Quando capì la fregatura cercò di mettere insieme una cordata di imprendito­ri per riprenders­ela, ma era troppo tardi: le banche di Colaninno non glielo lasciarono fare. Ed ecco che si arriva all’incredibil­e paradosso di una Aprilia che stava meglio quando stava peggio, stava meglio quando produceva 220 mila pezzi all’anno e doveva essere venduta di adesso che di pezzi ne fa solo 25 mila e vive di cassa integrazio­ne».

Sulla Motò di Mascheroni ci sono le firme di Starck, dei tecnici e dei collaudato­ri di allora. Uno di questi era Cajo Pellizzon. Allora Beggio lo chiamò e gli mise davanti l’«opera d’arte»: «Provala», gli disse. Lui la provò e la trovò inguidabil­e. Propose di abbassarne il baricentro ma la situazione non cambiò di molto, suggerì di modificare l’inclinazio­ne dello sterzo ma anche questa modifica era un palliativo. Per renderla guidabile bisognava ridisegnar­la: «Neanche per idea – sentenziò il paròn - la moto è di Starck e non si tocca». «E allora fattela da solo». Pellizzon gli buttò le chiavi sul tavolo e se ne andò porconando. «Ivano era così, un visionario al quale voler bene. Prima vendevo caschi e facevo motocross. Ci vedevamo sulle piste. Un giorno lo andai a trovare: “Che ci fai qui?”, chiese. Voglio lavorare per te. “Bene, dal mese prossimo questo lavora per noi”. Lo disse ad alta voce e il mese seguente lavoravo per lui».

La salma del fondatore dell’Aprilia è arrivata al duomo di Asolo ieri mattina alle 11 in una bara coperta da un cuscino di rose rosse. Ad aspettarlo c’erano gli operai, quelli in pensione e quelli in attività, c’era il direttore generale Leo Francesco Mercanti, l’unico dirigente a cavallo tra la vecchia fabbrica e la nuova, c’era Andrea Mosconi il titolare della «Hiro» che per un periodo gli fornì i motori e c’erano i vecchi titolari delle concession­arie, tutti insieme con i motociclis­ti a formare una comunità dell’anima. In prima fila la moglie Tina che l’ha assistito fino all’ultimo e il figlio Gianluca. Non c’erano Roberto Colaninno, l’uomo che nel 2004 ha rilevato Aprilia portandola in Piaggio e non si sono visti né Valentino Rossi né Max Biaggi. Il nuovo non riconosce il vecchio ed è così che le esequie erano doppiament­e meste: raccontava­no del fondatore e commemorav­ano un’epoca, la sua, quando bastava il genio e la passione.

Ieri ad Asolo non si saliva in macchina, i vigili avevano chiuso la strada. Tra gli altri s’avviavano a piedi Umberto Simioni e Elena Salviato, zii di Ivano. «Ivano costruì la prima moto a 16 anni. Un po’ stava in officina a Noale e un po’ girava per i negozi dei venditori fornendo i pezzi di ricambio per le biciclette di papà Alberto. Allora facevano due modelli, l’Ardea e l’Aprilia. Con pezzi di recupero assemblò un motore, con tre tubolari mise insieme un telaio e costruì la sua prima moto. A 24 anni, orfano, continuò. Non so perché scelse il nome di Aprilia e non Ardea.

Chi scrive, al tempo in cui l’Aprilia 125 sbaragliav­a, un giorno fece irruzione nel suo ufficio di Noale non annunciato né presentato. «Ma lei ha telefonato prima almeno? “No”. E non si è fatto annunciare? “No”». Gli sembrarono entrambe due ottime spiegazion­i così regalò mezz’ora del suo tempo a un motociclis­ta che non credeva nella sua 125 - allora avevo in mente le quattro cilindri giapponesi e non pensavo che l’Aprilia sarebbe mai arrivata a competere nelle 500 - «Si sbaglia - disse – i giapponesi già vengono di nascosto a copiare da noi e lei tra un anno dovrà cambiare idea sul quattro cilindri perché io lo faccio». Passò più di un anno, dovette arrivare Colaninno per la 500 ma lui aveva già la testa oltre l’ostacolo, ma seppi che Aprilia – due nomi della Lancia - gli piaceva di più di Ardea. Stava per comprarsi la Guzzi e la Laverda, era all’apogeo della parabola e non poteva sapere che era cominciata la discesa. Da visionario andò in India per «vedere» di più. Cosa vide si vedeva. Gianluca, operaio, vide in lui «un uomo buono, un signore per come ci trattava salutandoc­i uno per uno alla catena di montaggio».

Francesco Mercanti, l’attuale direttore generale, il prima e il dopo dell’Aprilia, racconta di un Ivano Beggio che «aveva la capacità di sognare dei grandi con tutti pregi e i difetti dei grandi». Nel giorno del suo funerale si commemorav­a anche un’epoca e una storia imprendito­riale, «un mondo che è finito - ha detto - quello che è stato non torna più». Perché? gli abbiamo chiesto. «Perché i sogni fanno più fatica a vivere». Dopo Asolo, a Noale, la sua Noale, fra i suoi compaesani e i suoi operai, Beggio ricevuto l’omaggio del sindaco Brugnaro, quindi la salma è proseguita per Treviso dove ha avuto luogo la cremazione.

 ??  ??
 ?? (Foto Balanza e Errebì) ?? L’addio L’ultimo viaggio di Ivano Beggio, il fondatore di Aprilia, si è compiuto ieri a Asolo, Noale e Treviso, dove il corpo è stato cremato. Ad accompagna rlo, il popolo di Aprilia, che l’ha salutato con un corteo di Motò, disegnate da Starck.
In...
(Foto Balanza e Errebì) L’addio L’ultimo viaggio di Ivano Beggio, il fondatore di Aprilia, si è compiuto ieri a Asolo, Noale e Treviso, dove il corpo è stato cremato. Ad accompagna rlo, il popolo di Aprilia, che l’ha salutato con un corteo di Motò, disegnate da Starck. In...
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy