Risparmiatori traditi salvati dal suicidio «Li riconosciamo dal tono della voce»
«Sono qui, con la corda in mano… Ho perso milioni in azioni… Non ce la faccio più…». Al numero verde 80033-43-43 del servizio InOltre parla una voce piatta, che chiama da un luogo silenzioso e fa credibili confidenze: rischio suicidio 5. E’ il massimo, equiparabile al codice rosso di un incidente stradale. E infatti, come al pronto soccorso, scatta l’intervento d’urgenza, da parte di un’unità del 118 o di altri operatori di InOltre, che volano dove qualcuno ha intenzione di appendere la propria vita a una trave. Sperando di fare in tempo, mentre l’operatore di turno, uno dei dodici psicologi preposti a questa mansione, si impegnerà a trattenere il soggetto al telefono. Nel Nordest degli imprenditori falliti a causa della crisi questo dramma è diventato ancora più usuale dopo l’ingresso sulla scena dei risparmiatori spolpati. Al punto da prevedere non solo un apposito centro di ascolto, dal 2012 funzionante 24 ore su 24, ma anche un relativo «triage», parola francese che indica una scala di valutazione dei casi in base alla loro gravità. Procedura ospedaliera applicata al rischio suicidario: un qualcosa che, non avendo precedenti, sta destando interesse in tutto il mondo. A codificarlo è stato un vicentino sessantenne di origini piemontesi, il professor Gian Pietro Turchi. Docente di psicologia applicata all’università di Padova, Turchi è il supervisore scientifico di InOltre, servizio finanziato dalla Regione Veneto, che per il 2018 vi ha destinato 275mila euro, e attivato in seno alla Usl Pedemontana di Santorso, sotto la direzione della psicologa Emilia Laugelli.
Professor Turchi i numeri certificati da InOltre parlano chiaro: 4.270 chiamate ricevute fra il 2102 e il 31 dicembre 2017. Nel Veneto questa tendenza al suicidio, più che un’emergenza, ha tutta l’aria di essere una sorta di epidemia, confermata peraltro dalle cronache.
«Lo è al punto che in Italia è l’unico servizio di pubblica assistenza attivo 24 ore su 24, al di fuori degli ambiti della sanità e della sicurezza. Attualmente così prezioso, che la Regione ha deliberato di sostenerlo fino al 2020, con budget suddiviso fra imprenditori e risparmiatori».
Nel frattempo, la continuità delle chiamate le ha suggerito l’idea del triage.
«Qualcosa di indispensabile, visto che questo numero telefonico attrae diversi gradi di disperazione. Quindi, se uno asserisce di avere preso la candeggina ma poi non sa dire di quale marca è, il suo sarà un caso di rischio uno o due, che meriterà comunque la dovuta attenzione. Se però confida di volersi buttare sotto un treno e si sente in sottofondo il rumore la questione si fa molto più seria».
Altri elementi utili?
«Spesso il tono della voce risulta più indicativo del senso letterale del testo. Dove ci sono grida e bestemmie, c’è anche rabbia, e quindi vitalità. La freddezza è invece segnale di un malessere molto più profondo».
Facciamo un esempio di come funziona?
«Subito chi chiama viene avvisato, e quindi accetta, che la conversazione sia registrata. Una volta avviato il dialogo, l’operatore inizia a valutare il rischio di suicidio. Se ritiene che ci siano fondati motivi di allarme, estende l’ascolto a chi è preposto al primo intervento: un collega, oppure il 118. Nel frattempo deve tenere viva la conversazione, continuando a metterci la massima intensità possibile. Ogni volta è una sfida».
Andata a buon fine nei circa 600 casi certificati dal servizio InOltre. Dopodiché?
«In realtà chi chiama, lo fa perché cova un’ultima speranza di essere ascoltato e considerato. Quando vede arrivare qualcuno, nella maggior parte dei casi si farà facilmente dissuadere dai suoi propositi suicidi, magari consegnando agli operatori la corda con cui voleva impiccarsi. Da quel momento in poi il servizio continua, attuando con il soggetto un ciclo di incontri in cui trovare le risorse psicologiche per dare una svolta positiva alla propria esistenza, e affrontare i problemi in modo più utile».
Da circa un anno, oltre agli imprenditori costretti a chiudere dalla crisi, chiamano tanti risparmiatori che hanno perso tutti i loro capitali nel default di Bpvi e Veneto Banca. Cosa vi colpisce di loro?
«Sono in preda alla rabbia di chi ha subito un’ingiustizia. Il titolare di azienda è invece più simile al samurai giapponese che fa harakiri, perché non tollera l’idea di avere fallito, di fronte a se stesso e alla società».
Autentici drammi. Sarebbe utile rappresentarli a teatro
«Perché no? Raccontano tanto di noi, del mondo in cui viviamo».