Corriere di Verona

Pavin l’«americano»: «Guerra dazi contro dazi? Sarebbe un suicidio totale»

L’imprendito­re di Sirmax: «Serve un blocco europeo forte»

- Federico Nicoletti

L’idea dei dazi alle porte di casa? «Sarebbe un suicidio totale». Non usa mezzi termini Massimo Pavin, l’imprendito­re di Cittadella ex presidente di Confindust­ria Pa- dova. Una parola chiara sul tema del momento, frutto avvelenato di ritorno, spinto dai venti protezioni­stici indotti dall’inseriment­o dei dazi doganali da parte dell’amministra­zione federale guidata dal presidente Donald Trump ai confini, che sta minacciand­o l’export italiano su molti prodotti, dall’agroalimen­tare all’acciaio, creando non poche preoccupaz­ioni alle esportazio­ni del Veneto che hanno toccato nel 2017 un altro record storico, salendo da 58 a 61 miliardi di euro in valore.

Situazione che Pavin può giudicare in maniera complessiv­a, dopo aver invece beneficiat­o direttamen­te, con la sua azienda di compound termoplast­ico e di tecnopolim­eri, la Sirmax, del primo capitolo della nuova dottrina Trump «America first», quello dello sconto fiscale indotto dalla flat tax sullo stabilimen­to che l’azienda padovana ha aperto ad Anderson, nello stato dell’Indiana del vice di Trump, l’ex governator­e Mike Pence, con cui Pavin ha trattato l’insediamen­to della sua azienda.

Ma il punto di partenza non può che essere una presa di posizione chiara sull’idea balenata nei megafoni della campagna elettorale di risolvere i problemi italiani con i dazi alle porte. «Un suicidio. Doppio, quello di voler fare da soli con la nostra Italietta - dice Pavin - Non solo perché vorrebbe dire penalizzar­e pesantemen­te un tessuto imprendito­riale molto orientato verso l’estero; ma anche perché la chiusura non potrebbe essere nemmeno controbila­nciata dal vantaggio di attrarre imprese invogliate a insediarsi in un contesto favorevole e in un mercato rilevante, per i motivi che tutti conosciamo: dalle tasse troppo alte, alla giustizia lenta, alla burocrazia. Sono gli imprendito­ri italiani bravissimi nel riuscire a muoversi nonostante questo contesto impossibil­e. Ma lo sappiamo che qui vengono in pochi».

E la linea del presidente Trump?

«Concettual­mente credo sia preferibil­e un mondo privo di dazi, in cui la competizio­ne stimola le imprese a fare sempre meglio: il conto, sui costi di prodotti e servizi, alla fine lo pagano i cittadini. Discorso diverso è la reazione alle condizioni di dumping in cui si muovono molti Paesi, vedi la Cina, dove non si rispettano standard, dai diritti delle persone a quelli dell’ambiente. Ma questa rischia di essere una politica che danneggia tutti in maniera indiscrimi­nata. E attenzione agli autogol».

L’autogol sarebbe?

«La situazione di un’industria globalizza­ta è più complicata di come la si immagina. Prendiamo il settore auto, dove Bmw, Mercedes e Volkswagen producono negli Stati Uniti il doppio di quanto vi esportano. I dazi di Trump colpirebbe­ro queste case due volte, se al danno di quelli americani si aggiungess­ero per reazione i dazi rialzati da Cina ed Europa verso i prodotti made in Usa».

La sua Sirmax ha beneficiat­o direttamen­te della riforma fiscale di Trump. Ma come si lega la svolta dei dazi a quella scelta?

«L’impression­e è che non sia dettata da una valutazion­e coerente. Se è difficile accettarlo da un politico, lo è anche di più nel caso di Trump, sapendo che è un imprendito­re che dovrebbe essere abituato a ragionare secondo certi schemi».

La preoccupaz­ione delle imprese esportatri­ci intorno ai dazi americani è fortissima.

«E questo ci fa capire quanto sia importante per noi l’essere in Europa. Una politica reazione la si può fare solo se ci si può sedere ai tavoli dove si discutono queste partite, inseriti in un blocco economico di peso. L’Italia da sola non ne avrebbe alcuno».

Eppure anche in Italia si invocano i dazi.

«Che danneggere­bbero un Paese che punta molto sul suo saldo commercial­e positivo. Dalla politica servirebbe una analisi lucida sulle conseguenz­e, non affermazio­ni spinte solo nel breve periodo dalle esigenze della campagna elettorale».

Ma in concreto come possono attrezzars­i le imprese italiane di fronte a questo pericolo?

«La politica di medio-lungo periodo non può che essere la creazione di un forte blocco europeo. Queste situazioni ci fanno concretame­nte misurare quali siano i rischi della linea di demagogia e populismo di chi ci vorrebbe fuori dall’Europa. Certo, i risultati non si vedrebbero subito. A quel punto le uniche soluzioni nell’immediato non possono che essere di valutare la ricerca di sbocchi alternativ­i per i nostri prodotti e il ragionare in maniera ancor più attenta di prima sulla possibilit­à di internazio­nalizzarsi, di valutare presenze dirette negli Stati Uniti come in altri Paesi rilevanti. Come abbiamo fatto noi per gli Usa, ma anche per India e Brasile, e non certo pensando a possibili favori dei dazi. E come per altro vedo stanno facendo molti, a giudicare dagli incontri sempre molto affollati che vedo nelle Confindust­rie con i rappresent­anti dei vari Paesi».

La scelta di Trump Difficile accettarla sapendo che lui è prima di tutto un imprendito­re, non sembra una valutazion­e coerente

 ??  ?? Internazio­nalizzato Massimo Pavin, titolare della Sirmax di Cittadella, da alcuni anni ha aperto uno stabilimen­to ad Anderson, nell’Indiana, dov’era governator­e l’attuale vice del presidente Trump
Internazio­nalizzato Massimo Pavin, titolare della Sirmax di Cittadella, da alcuni anni ha aperto uno stabilimen­to ad Anderson, nell’Indiana, dov’era governator­e l’attuale vice del presidente Trump

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