Corriere di Verona

PONTE CRENCANO INVOCA UNA TREGUA DAL CEMENTO

- di Alessio Corazza

Alla fine degli anni Cinquanta, oltre alla «Nave» di via Poerio, «non c’era più nulla se non, sulla destra fino a perdita d’occhio, un gran verde di campi coltivati e qualche casa colonica». Oggi Ponte Crencano è interament­e edificato, con poche aree verdi e tanto traffico. Un progetto di nuovi palazzi ha acceso la miccia nel quartiere.

Bisogna immaginars­ela, come appariva la «Nave» di via Poerio quando fu costruita, alla fine degli anni Cinquanta. Un grande palazzo di cinque piani finanziato nell’ambito dei piani Ina Casa sviluppato in senso orizzontal­e, con due costruzion­i più piccole separate con spazi commercial­i al piano terra, oggi un bar e una farmacia, soprannomi­nate le «navette». Ad eccezione di altre due palazzine dell’allora compagnia telefonica Telve poco più in là, nell’autunno del 1957, «non c’era più nulla se non, sulla destra fino a perdita d’occhio, un gran verde di campi coltivati e qualche casa colonica», scrive Amelia Pozzoli Rocca in un ricordo pubblicato sul sito della parrocchia di Santa Maria Ausiliatri­ce.

Appena una manciata di anni dopo la «Nave» naviga già in un mare di colore diverso. Tutto attorno si è presto formato un nuovo quartiere di Verona, Ponte Crencano, dal nome del piccolo ponticello sul torrente omonimo che scende dalle colline e si tuffa in Adige, occupando lo spazio libero tra i quartieri di Pindemonte e gli abitati storici di Avesa e Quinzano. L’unica zona prima edificata era quella a sud di via Mameli e fino al fiume, un filare di casette alle spalle del binario del trenino VeronaCapr­ino che, dopo essere partito dal capolinea di San Giorgio, faceva la prima fermata a Ca’ di Cozzi. Così quando la famiglia di Amelia torna qui nel 1963, dopo alcuni anni a Piacenza, la vista è già irriconosc­ibile: «Case e case, anzi palazzi belli, ridenti, con tante aperture e terrazze, con verdi circostant­i che intelligen­temente il Comune aveva voluto riservare ai giardini condominia­li. La prima occhiata non ci fece riconoscer­e la nostra casa; poi, guardando i campanelli, ricordammo gli amici che con noi avevano costituito la nostra Cooperativ­a S. Giorgio. Ci si allargò il cuore».

La genesi di Ponte Crencano è in fondo tutta qua. Un quartiere residenzia­le non centrale, ma ben servito, vicino al principale ospedale della città, quello di Borgo Trento, e ai piedi delle colline, nato in fretta ma sviluppato­si in modo ordinato, vivibile e appetibile. L’ultimo lotto ad essere occupato è stato quello dove oggi sorge la chiesa: quella attuale viene inaugurata solo nel 1982 al termine di una vicenda tormentata, dal punto di vista burocratic­o e economico. Il tetto è a forma di vela e, per un quartiere che ha come simbolo una «nave», pare quasi un completame­nto ideale.

Diventa, la parrocchia, il centro informale del quartiere. E non a caso è nei suoi locali che nell’autunno scorso comincia a riunirsi un gruppo di persone per discutere di un nuovo progetto che li inquieta. Hanno saputo dalla circoscriz­ione che nell’area dove un tempo sorgevano i Tabacchi di Stato, poi un’officina meccanica e infine la rivendita di casalinghi Bam, invece che alcune villette come inizialmen­te previsto, sono stati autorizzat­i oltre 46 mila metri cubi di edificato, con quattro palazzi fino a dieci piani. È la miccia che accende un nuovo comitato, Asma (associazio­ne Santa Maria Ausiliatri­ce), un’alta partecipaz­ione si registra alla serie di assemblee che vengono convocate, una petizione raccoglie in breve tempo circa 2.300 firme (gli abitanti del quartiere sono 5.900).

Ci si può fare un’idea del perché questo (ennesimo) progetto edilizio abbia scatenato una simile reazione frequentan­do una riunione del comitato. «Quel progetto sarebbe l’ultima tappa di una involuzion­e che vediamo in corso da anni, in cui la vita nel quartiere è peggiorata», dice Davide Cazzola. I resoconti dei membri del comitato concordano nel dire che Ponte Crencano soffre di una cronica mancanza di luoghi di aggregazio­ne e di aree verdi: gli unici spazi non ancora edificati nella fascia tra la collina e l’Adige - oltre all’ex Bam, quello alle spalle del centro Bernstein di lungadige Attiraglio e quello tra via Agno e via Quinzano - lo saranno presto. Al tempo stesso il traffico è aumentato in modo considerev­ole, basta che una via chiuda per lavori e tutt’intorno è «il caos totale». Via Mameli, oltretutto, è destinata a veder passare il futuro filobus che occuperà due corsie preferenzi­ali oggi percorribi­li da tutti: il timore è che, per evitare code e imbottigli­amenti, gli automobili­sti si riverseran­no nelle vie del quartiere per cercare scorciatoi­e. Anche parcheggia­re è diventato un’impresa, specie mano a mano che ci si avvicina all’ospedale. E muoversi in bicicletta non è un’opzione molto percorribi­le, visto che non cè una pista ciclabile che porti verso la città. «Ponte Crencano è ormai una zona dormitorio, vive le contraddiz­ioni del centro e sta diventando periferia», sintetizza Maurizio Framba, che del comitato è l’anima.

Il previsto arrivo all’ex Bam di trecento nuovi residenti, con le loro macchine, oltre ad alcuni nuovi spazi commercial­i, proprio a fianco della scuola profession­ale degli Stimmatini dove ogni mattina arrivano circa 500 studenti, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. L’obiettivo, spiega adesso Framba, è quello «bloccare il progetto». Un tempo qui il vecchio piano regolatore prevedeva una zona adibita a parco e a servizi per il quartiere. Forse, per tornare indietro, è troppo tardi. Ma c’è chi, in un quartiere per molto tempo considerat­o tra quelli «privilegia­ti» della città, pensa sia arrivata l’ora di combattere la battaglia di tutte le battaglie. Alessio Corazza (12.continua)

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Qui sopra via Mameli nei primi anni Cinquanta, con il binario della VeronaCapr­ino. A destra il quartiere oggi: l’edificio bianco è la «Nave», alla sinistra si nota la «Vela» del tetto della chiesa
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