San Marco e le feste separate i venetisti: noi sempre meno
Migliaia in piazza per il patrono. Brugnaro: «Non ci sia contrapposizione»
«Ogni anno siamo sempre meno». A San Marco venetisti in piazza.a
Lessico minimo di un giorno diverso dagli altri nel cuore della Serenissima: «Liberazione», «Tricolore», «San Marco», «Leone alato». Il 25 Aprile non è un giorno come gli altri in una Venezia in precario equilibrio fra orgoglio Serenissimo da un lato e partigiano dall’altro. Soprattutto in piazza San Marco dove ieri mattina sventolava gonfio di primavera il tricolore della Liberazione con istituzioni e associazioni partigiane per l’alzabandiera di fronte alla basilica, mentre nel pomeriggio in piazza ondeggiava un mare di bandiere indipendentiste rosse e blu col leone alato e tanto giallo-Catalogna. E sì che sul palco andava in scena una rievocazione storica organizzata proprio dal Comune. Non è bastato il saggio di scherma cinquecentesco o la messa in scena della battaglia del ponte dei Pugni per placare gli animi degli indipendentisti che hanno generosamente fischiato il delegato di Ca’ Farsetti proprio per le celebrazioni della Liberazione che poche ore prima avrebbero «profanato» piazza San Marco. Un copione che si ripete ogni anno quello delle «celebrazioni» separate in città: prima la commemorazione per la fine della guerra di liberazione, poi l’omaggio viscerale al patrono di Venezia San Marco. Di diverso, ieri, c’erano i numeri. Lo ammettono gli stessi indipendentisti: «Siamo meno rispetto allo scorso anno - dice Barbara Benini, imprenditrice e arredatrice di Bovolone, nel Veronese - anzi, ogni anno siamo un po’ meno, non è una battaglia facile». A far da sfondo striscioni come «Lo Stato italiano è illegittimo nei territori della Venezia» o «CNL - Comitato di Liberazione Nazionale» sostenuto dagli uomini del «Gruppo di intervento rapido» e, spiega Erica Scandian, giovane architetto vicentino portavoce del CNL: «Guardi che il nostro statuto l’abbiamo portato all’Onu eh...». Le posizioni degli indipendentisti (e guai a chiamarli «venetisti» che s’offendono) restano granitiche: «La Liberazione? - si accalora Giulio Perin, neppure trent’anni, operaio disoccupato lombardo ma con un nonno di Schio - Dai tedeschi per poi essere colonizzati dagli americani? Io voglio tornare a vivere nella mia terra, il Veneto, da uomo libero. Il cosiddetto Stato copre il piano per un nuovo ordine mondiale con l’immigrazione a tavolino, ci avvelenano con le scie chimiche e con i vaccini, dobbiamo tornare indipendenti». A lato, un po’ discosta, c’è una coppia, lui, Mauro Rossetto, insegna al Politecnico della calzatura di Stra, lei, Emanuela, ha perso il lavoro da poco ma non la verve: «Siamo leghisti perché ci piace Salvini spiegano - ma i venetisti sono fanatici invasati. E quanto alla Liberazione, ci piacerebbe essere più orgogliosi di essere italiani, il paese va in malora». Però, aggiunge lui: «Stamattina non ho potuto non ricordare mio nonno Antonio, falciato dalla mitragliatrice dei tedeschi in fuga il 25 Aprile del ‘45. Quel giorno era sceso in strada per cercare il figlio Giorgio, partigiano, ma è morto lui davanti all’ospedale di Padova».
Intanto, dal palco, l’unico che sa zittire i fischi di quelli con la t-shirt «El Veneto no xe Italia» è il sindaco Luigi Brugnaro urlando a pieni polmoni: «Par tera e par mar, San
Marco». La piazza ritrova per un attimo l’unità. «Che il 25 Aprile sia, insieme, l’anniversario della Liberazione e San Marco non è un caso fortuito, è un caso fortunato. Il nesso è proprio la parola “libertà” emblema della Serenissima e della Liberazione dal nazifascismo, sono due concetti che si rafforzano, non che si elidono. Perché Venezia ha esportato libertà e deve tornare ad essere grande, in Italia, e in Europa». Gli altissimi pennoni davanti alla basilica da cui sventolano, imparziali, la bandiera europea, il tricolore e il gonfalone di San Marco, paiono annuire.
Luigi Brugnaro
Il nesso è proprio la libertà che la Serenissima ha esportato ovunque