Affari e guai La lunga marcia delle ‘ndrine
L’evoluzione In origine furono i malavitosi al confino negli anni 70, poi il radicamento delle ‘ndrine, come ha svelato il processo Aemilia
Un sigillo. Perché quello posto dall’indagine della guardia di finanza di Crotone altro non è che il suggello su un dato di fatto, ormai da anni. Vale a dire che il Veronese è terra di ‘ndrangheta. E lo è, in particolare, la Bassa. Hanno ormai la cadenza di un metronomo le inchieste che partono dalle ‘ndrine e arrivano nel Nordest scaligero. Che non è più terra di confino, come negli anni Settanta. E neanche di conquista. Ma di affari. Mattoni, spaccio di droga ma quella «leggera», tra marijuana e hashish, riciclaggio, usura, società «cartiere» e ditte di trasporti. Il quadrilatero in cui la ‘ndrangheta si muove è quello che serve per «lavare» il denaro sporco. Lo si capì per la prima volta nel 2009, quando - sempre la Finanza - arrestò nove persone e sequestro oltre un chilo di hashish e un milione di euro. «Grossisti» che avevano Verona come base ed erano legati alla ‘ndrina dei Vrenna di Crotone. Ma la certezza che le «infiltrazioni» erano cosa vecchia e la malavita organizzata si era radicata nel territorio, arrivò due anni dopo con la condanna per bancarotta fraudolenta di «Gheddafi», al secolo Domenico Multari, residente a Zimella. Console onorario della ‘ndrangheta nella Bassa scaligera. «Tenore di vita assolutamente incompatibile», lo bollò la direzione investigativa antimafia di Padova. Gli vennero sequestrati appartamenti, terreni e il 60 per cento della«Real Costruzioni» sede in pieno centro a Verona. Sempre a Zimella vivevano anche i fratelli Grisi, originari di Cutro. Anche loro titolari di un’impresa edile. Era il gennaio del 2011 quando Giuseppe e Alfredo rimasero uccisi in un agguato a Crotone. Ad ammazzarli un affiliato del clan Vrenna. Nel settembre del 2015 il prefetto Salvatore Mulas per l’azienda di quei fratelli, la Grika, ha firmato l’interdittiva antimafia. Era il marzo del 2011 quando a Bovolone, sempre nella Bassa, venne arrestato per l’accusa di omicidio Cesare Dromi. Sposato con Rita Ergi, la cui famiglia fa parte della ‘ndrina di Rosarno. Nel 2016 l’interdittiva è arrivata per altre due aziende, questa volta di trasporti, a Sommacampagna e Nogarole. Facevano capo a Giuseppe Franco. Lui e i fratelli in carcere ci sono finiti come affiliati al clan Tegano, ritenuto fedelissimo dei Pesce. Quelli a cui fa riferimento, stando alle indagini, anche Francesco Piserà, imprenditore nel settore alberghiero con i soldi, secondo le accuse, della malavita. L’interdittiva è arrivata per lui, la compagna e anche il figlio. A settembre scorso è stata la volta della Commercial Company di Legnago. E negli ultimi anni che il Veronese sia terra di ‘ndrangheta lo hanno dimostrato le interdittive firmate dal prefetto, ma anche le indagini. Quella in cui si è svelato come quella scaligera sia terra appetibile per la malavita non solo dal punto di vista economico ma anche sociale, perché qui «non si corrono pericoli», è stata l’inchiesta Aemilia. Quella che ha smantellato gli affari al Nord del clan Grande Aracri. Con quel Nicolino che i tentacoli li stava facendo attecchire anche a Verona, disseminando la provincia di suoi referenti. Angelo Salvatore Cortese, collaboratore di giustizia, al magistrato che lo interrogava lo ha detto chiaramente. «Lui (riferito a uno degli arrestati, ndr) per parecchio tempo ha battuto anche Verona...». E alla domanda del pubblico ministero se nel Veronese ci fosse una ‘ndrina, la risposta è stata limpida: «No, su Verona ci sono gruppi, crutesi come questi (riferito ai Multari). È a loro che ci appoggiamo...».