Don Antonio, antifascismo e passione civica
Nel libro «Un prete da fucilare» la storia di Fasani da Lughezzano
Di quei fatti ci sono ancora i testimoni, come Leone Fasani, che all’epoca aveva solo 8 anni, o come qualcuno che tra il pubblico si è alzato con gli occhi rossi per dire: anch’io c’ero, o altri che nella repressione fascista alla Resistenza hanno visto sparire famigliari, come Bruna Morandini. La storia rievocata ieri sera in Biblioteca Capitolare è quella di don Antonio Fasani, arrestato mentre diceva messa nella chiesa di Lughezzano, di cui era parroco, una domenica, il 22 ottobre del 1944, e torturato, perché accusato dai fascisti di essere «positivamente implicato nelle attività dei ribelli della zona». E portandolo nella piazza di Lughezzano, i suoi aguzzini passarono davanti alla madre dicendole di salutare il figlio che andava a morire. Lei rispose dicendo soltanto: «La Madonna ha dato suo figlio morente, io do il mio». La paventata fucilazione per fortuna alla fine non ci fu. La sua storia, raccontata in appunti autografi, è stata pubblicata da Cierre a cura di Maurizio Zangarini, con la prefazione del nipote don Bruno Fasani, prefetto della Capitolare, con il titolo «Un prete da fucilare. Memorie di un parroco antifascista». Un prete che, il 10 giugno del 1940, si era rifiutato di suonare le campane per far accorrere i cittadini ad ascoltare le parole di Mussolini che annunciava la guerra contro l’Etiopia. «Le sue scelte – ha spiegato don Bruno Fasani – sono state pervase non da una passione ideologica o politica, ma da una passione civica e cristiana». Parole confermate da Olinto Domenichini che sulle memorie di Antonio Fasani ha compiuto una ricerca documentaria che dimostra l’esattezza dei suoi racconti, cosa che non sempre accade, come ha spiegato lo storico ricostruendo lo scenario di terrore e di conformismo ideologico che il parroco di Lughezzano si è trovato ad affrontare con le sue difficili scelte.