Corriere di Verona

«His Bobness» Dylan incanta ancora l’Arena dopo 30 anni

Dylan è tornato dopo trent’anni in un anfiteatro non esaurito ma pronto ad applaudirl­o. Nessuna parola, solo musica con la «His band» che lo accompagna dal vivo dal 1998. E come sempre ha reinventat­o le sue canzoni

- Verni

Trent’anni fa Bob Dylan, da Omero dei cantautori, ha voluto trasformar­si in Ulisse, ricreando la propria vita in un eterno Never Ending Tour che, ieri sera, è approdato in Arena. Sul palco c’era «His band», la sua band, quel manipolo di (ex) ragazzi che, con qualche cambiament­o, accompagna il fresco Premio Nobel per la letteratur­a in giro per il mondo dal 1988. nQuesta volta l’Arena non è sold out, ma poco importa. Perché quando Bob Dylan è sul palco, non si torna indietro nel tempo. Neppure un attimo di nostalgia. Non è ammesso. Non è permesso. Ogni brano, ogni canzone, che abbia 10 o 60 anni, torna a essere nuova, reinventat­a e riletta, esaltata e stravolta. Il palco è essenziale ed elegante. E Dylan non parla al pubblico, comunica con la sua musica.

Trent’anni fa Dylan, da Omero dei cantautori, ha voluto trasformar­si in Ulisse, ricreando la propria vita in un eterno Never Ending Tour che, ieri sera, è approdato in Arena. Sul palco c’era «His band», la sua band, quel manipolo di (ex) ragazzi che, con qualche cambiament­o, accompagna il fresco Premio Nobel per la letteratur­a in giro per il mondo dal 1988. Tre decadi di concerti, che superano il numero incredibil­e di 2930 e che hanno fatto perdere a Dylan la bussola per Itaca. Ma in questo viaggio tra continenti e centinaia di Paesi, l’Arena conserva un significat­o tutto particolar­e.

Qui «His Bobness» nel maggio 1984 ha tenuto il suo primo, grande, live italiano (anticipato da Santana), qui è tornato nel 1987 per una tappa della tournée congiunta con il rocker (scomparso ad ottobre) Tom Petty e i suoi Heartbreak­ers, qui ieri sera ha portato il suo Never Ending Tour.

Questa volta l’Arena non è sold out, ma poco importa, l’essenziale per tutti quelli che hanno acquistato un biglietto è vedere «Shakespear­e recitare Shakespear­e».

Perché quando Bob Dylan è sul palco, non si torna indietro nel tempo. Neppure un attimo di nostalgia. Sul palco

Bob Dylan non si è smentito ieri in Arena. Non ha voluto fotografi e non ha parlato con il pubblico

arte. E lo seduto fa da fuoriclass­e o in piedi davanti assoluto, coda, ad un unico pianoforte strumento a mezza che suonerà. «Things have L’attacco changed», è canzone con registrata per il film «Wonder Boys», premiata nel 2000 con l’Oscar, ma per Dylan è qualcosa di più, visto che da anni l’ha scelta come apertura dei suoi live, un modo per comunicare subito che l’idea che «The times they are a-changin» è sepolta da un pezzo, oggi piuttosto «People are crazy and times are strange / I’m locked in tight, I’m out of range / I used to care, but things have changed». Poi «Don’t think twice, It’s all right», brano che ha 55 anni ma che Dylan sublima con un arrangiame­nto di una delicatezz­a sconvolgen­te. Altri classici, «Highway 61 revisited» è una bordata dell’essenza del rock, «Simple twist of fate» è morbidissi­ma. «Duquesne whistle» è perfetta così come è, uno dei tanti gioielli dell’ultimo album di canzoni inedite di Dylan, quel «Tempest» del 2012 che resterà il disco più suonato alla fine del concerto con cinque brani («Pay in blood», «Early roman kings» e «Soon after midnight» e «Long and wasted years» in chiusura di scaletta). Degli ultimi anni imperniati sul recupero del repertorio che fa capo a Frank Sinatra, passano tre canzoni che costringon­o Dylan a cantare in piedi trasforman­dosi in un grande crooner. Alla fine dei 20 brani proposti, nei bis si intuisce «Blowin’ in the wind», condotta sulla strada della rassegnazi­one più che della speranza, mentre «Ballad of a thin man» del ‘65 ha un graffio rock ancora da rivoluzion­e.

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