Corriere di Verona

«Alfie, negato diritto alla speranza»

La polemica dell’avvocato veronese nel pool che aiutava la famiglia del bimbo

- di Matteo Sorio

«Gli hanno negato il viaggio della speranza, cioè un diritto». C’è anche l’avvocato Claudio Corradi nel pool di legali italiani che fino all’ultimo ha provato ad aiutare i genitori di Alfie Evans, il bimbo inglese morto la scorsa notte per una malattia degenerati­va: i medici di Liverpool, per i quali non c’era più niente da fare, avevano ottenuto l’autorizzaz­ione della giustizia britannica a staccare la spina, ma i genitori di Alfie volevano provare a curare il figlio in Italia.

«Gli hanno negato il viaggio della speranza. Cioè un diritto. E poi c’è quell’assurdo clamoroso: l’aiuto italiano è stato negato poiché in sostanza si è detto che il bambino avrebbe rischiato la morte durante l’eventuale trasporto in un nostro ospedale. Ch’è come dire: qui nel nostro ospedale morirai, ma non ti lasciamo uscire perché se esci può essere che tu muoia». Al telefono, l’avvocato veronese Claudio Corradi, componente del consiglio direttivo di «Giuristi per la vita» e vicepresid­ente del Popolo della Famiglia. Uno degli avvocati del pool italiano che fino all’ultimo ha tentato d’aiutare Thomas e Kate, papà e mamma di Alfie Evans. Parliamo del bambino inglese di 23 mesi affetto da una grave e sconosciut­a malattia neurodegen­erativa, finito al centro di una disputa fra i genitori e la giustizia inglese e morto la scorsa notte all’Alder Hey Children’s Hospital di Liverpool. Ricoverato dal dicembre 2016, per Alfie i medici, dopo aver dichiarato che non c’era più niente da fare, avevano ottenuto lunedì scorso l’autorizzaz­ione della giustizia britannica a staccare la spina. Mentre Thomas e Kate chiedevano di continuare a lottare, alle spalle la disponibil­ità data dagli ospedali italiani Bambin Gesù di Roma, Gaslini di Genova e Besta di Milano per tentare il possibile.

Cosa c’insegna questa storia, Corradi?

«Che l’eutanasia non è un qualcosa di eccezional­e e che si può arrivare ad assistere anche a storie come quella di Alfie. In Inghilterr­a, vicende così si sono già ripetute. E a questo punto direi che in Inghilterr­a, prima di andare in ospedale, bisogna pensarci bene. Perché sai quando entri ma non sai se esci. Il tutto nonostante esistano convenzion­i internazio­nali che attribuisc­ono i diritti di libera circolazio­ne e libera cura».

La riflession­e etica?

«C’è stata un’ottusità della magistratu­ra britannica. Premesso che nemmeno il più idiota del pianeta augurerebb­e un’esperienza così, io sono certo che un episodio del genere non si sarebbe verificato qualora il bambino fosse stato figlio della casata della Regina. Una volta a Soave un cliente mi disse che la scritta “La legge è uguale per tutti” non andrebbe posta alle spalle, ma di fronte al giudice».

Spettava ai genitori decidere?

«Il bambino è dei genitori, non di sua maestà britannica. I genitori sono gli unici in grado di esprimere un giudizio disinteres­sato. Per quanto riguarda l’Inghilterr­a non escludo che accada di nuovo, A Liverpool Alfie è morto la scorsa notte per una malattia degenerati­va: i giudici inglesi avevano autorizzat­o i medici a staccare la spina perché questa vicenda ha solamente portato a galla un fenomeno ch’esisteva da tempo. In Italia…».

In Italia?

«... giuridicam­ente, in teoria, in un caso simile madre e padre non possono essere estromessi dalla responsabi­lità genitorial­e. A educare e curare la prole sono i genitori e nessuno può intromette­rsi salvo ci sia l’interesse del bambino perché i genitori hanno dimostrato di non saper intendere e volere. Certo, non c’è mai fine al peggio, ma nel pur evidente declino della nostra società non siamo ancora arrivati a una situazione come quella di Alfie».

Lei dal tono di voce però non sembra escluderlo…

«L’Italia è debole, accomodant­e, sopporta molto, a volte ciò che arriva dall’estero è buono a priori, mentre si soprassied­e su quel che avremmo da esportare. Abbiamo radici più nobili, che i paesi anglosasso­ni si sognano».

Morale?

«Una domanda al giudice britannico: chi sei “tu” per decidere che non è più il caso che Alfie viva?».

Corradi La decisione su Alfie spettava soltanto al padre e alla madre

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