Corriere di Verona

La difesa dell’imprendito­re dal carcere «Io innocente, fraintesa una mia telefonata»

Aversa De Fazio accusato di essere a capo di una «centrale» del riciclaggi­o

- Enrico Presazzi

Per la procura di Crotone, da Belfiore avrebbe coordinato un’«agguerrita associazio­ne operante nel settore delle frodi fiscali e del riciclaggi­o del profitto di reato». Ma ieri, nel corso dell’interrogat­orio di garanzia svoltosi in carcere a Montorio dove è recluso da giovedì mattina, Antonio Aversa De Fazio ha parlato per oltre due ore, proclamand­o la sua innocenza.

Assistito dall’avvocato Gianni Russano del foro di Catanzaro, ha risposto alle domande del gip Livia Magri che gli chiedeva conto della moltitudin­e di capi d’accusa contestati (tra i quali non compare l’aggravante del metodo mafioso). Secondo le indagini avviate dalla guardia di finanza di Crotone con la collaboraz­ione dei colleghi di Soave, l’imprendito­re calabrese di 56 anni residente da anni a Belfiore, e attivo con le sue aziende nel settore dei trasporti e del commercio di inerti, avrebbe messo in piedi un organizzaz­ione in grado di evadere qualcosa come 5,6 milioni di euro tra Ires, Iva e Irap tra il 2011 e il 2016.

Per l’accusa, appoggiand­osi ad Alfredo Minervino (un altro dei 17 arrestati su disposizio­ne del gip calabrese), Aversa De Fazio avrebbe realizzato un giro di false fatturazio­ni da parte di aziende nate e chiuse nel giro di pochi mesi, intestate alle sue aziende «veronesi» per aumentarne fittiziame­nte i costi e creare un indebito credito di Iva. Una volta che le aziende compiacent­i incassavan­o, secondo quanto ricostruit­o nel corso delle indagini, il denaro veniva fatto sparire dai «riciclator­i».

Tra gli imprendito­ri che avrebbero emesso fatture false, anche Giovanni Pizzimenti, calabrese di 30 anni residente a Cologna Veneta e finito ai domiciliar­i. Anche lui, ieri, assistito da Valentino Sacco e Luigi Villirilli, è comparso di fronte al gip Magri ma ha preferito rimanere in silenzio. A parlare, invece, è stato Aversa De Fazio che ha ribadito la sua innocenza. L’imprendito­re ha sostenuto di non conoscere nessuna delle persone ad eccezione di Minervino, ma ha ricordato di aver troncato da anni i rapporti con quest’ultimo e di averlo persino citato in giudizio. La difesa, inoltre, ha fatto presente che non vi sarebbero contatti telefonici tra l’imprendito­re di Belfiore e gli altri indagati. E nel corso dell’interrogat­orio, è stata fornita anche una spiegazion­e in merito ad alcune intercetta­zioni delle telefonate di Aversa De Fazio. In particolar­e quella, già riportata anche dal

Corriere di Verona, in cui l’arrestato parlava al telefono con la segretaria ordinandol­e di controllar­e una fattura.

Per l’accusa, la donna avrebbe detto «Minervino aveva fatto ancora in settembre a 7 euro» e il capo le avrebbe risposto «e fai 6.70 a Minervino, dai». L’avvocato Russano ha chiesto di ottenere la trascrizio­ne del dialogo, sostenendo che in realtà non si stesse parlando di Minervino, ma di una cava a Megliadino San Fidenzio, nel Padovano e si è detto pronto a produrre le fatture relative all’acquisto di materiale inerte a quel prezzo.

La difesa, che ora ha intenzione di ricorrere al Riesame, ha più volte ribadito che il figlio di Aversa De Fazio, Vincenzo, non risulta in alcun modo indagato. E ha ricordato che è stato presentato ricorso al Tar del Veneto contro l’interditti­va antimafia emessa lo scorso anno dal prefetto Salvatore Mulas nei confronti dell’azienda Adf intestata proprio al figlio. Il provvedime­nto prefettizi­o riportava il «concreto e attuale rischio di infiltrazi­one mafiosa nei confronti della società in questione», ricordando che il padre del titolare risultava coinvolto in inchieste «in cui è emersa la presenza anche di diversi soggetti direttamen­te collegati alla criminalit­à organizzat­a di stampo mafioso e, segnatamen­te, contigui alla ‘ndrina Grande Aracri».

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Sotto accusa Antonio Aversa De Fazio

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