La difesa dell’imprenditore dal carcere «Io innocente, fraintesa una mia telefonata»
Aversa De Fazio accusato di essere a capo di una «centrale» del riciclaggio
Per la procura di Crotone, da Belfiore avrebbe coordinato un’«agguerrita associazione operante nel settore delle frodi fiscali e del riciclaggio del profitto di reato». Ma ieri, nel corso dell’interrogatorio di garanzia svoltosi in carcere a Montorio dove è recluso da giovedì mattina, Antonio Aversa De Fazio ha parlato per oltre due ore, proclamando la sua innocenza.
Assistito dall’avvocato Gianni Russano del foro di Catanzaro, ha risposto alle domande del gip Livia Magri che gli chiedeva conto della moltitudine di capi d’accusa contestati (tra i quali non compare l’aggravante del metodo mafioso). Secondo le indagini avviate dalla guardia di finanza di Crotone con la collaborazione dei colleghi di Soave, l’imprenditore calabrese di 56 anni residente da anni a Belfiore, e attivo con le sue aziende nel settore dei trasporti e del commercio di inerti, avrebbe messo in piedi un organizzazione in grado di evadere qualcosa come 5,6 milioni di euro tra Ires, Iva e Irap tra il 2011 e il 2016.
Per l’accusa, appoggiandosi ad Alfredo Minervino (un altro dei 17 arrestati su disposizione del gip calabrese), Aversa De Fazio avrebbe realizzato un giro di false fatturazioni da parte di aziende nate e chiuse nel giro di pochi mesi, intestate alle sue aziende «veronesi» per aumentarne fittiziamente i costi e creare un indebito credito di Iva. Una volta che le aziende compiacenti incassavano, secondo quanto ricostruito nel corso delle indagini, il denaro veniva fatto sparire dai «riciclatori».
Tra gli imprenditori che avrebbero emesso fatture false, anche Giovanni Pizzimenti, calabrese di 30 anni residente a Cologna Veneta e finito ai domiciliari. Anche lui, ieri, assistito da Valentino Sacco e Luigi Villirilli, è comparso di fronte al gip Magri ma ha preferito rimanere in silenzio. A parlare, invece, è stato Aversa De Fazio che ha ribadito la sua innocenza. L’imprenditore ha sostenuto di non conoscere nessuna delle persone ad eccezione di Minervino, ma ha ricordato di aver troncato da anni i rapporti con quest’ultimo e di averlo persino citato in giudizio. La difesa, inoltre, ha fatto presente che non vi sarebbero contatti telefonici tra l’imprenditore di Belfiore e gli altri indagati. E nel corso dell’interrogatorio, è stata fornita anche una spiegazione in merito ad alcune intercettazioni delle telefonate di Aversa De Fazio. In particolare quella, già riportata anche dal
Corriere di Verona, in cui l’arrestato parlava al telefono con la segretaria ordinandole di controllare una fattura.
Per l’accusa, la donna avrebbe detto «Minervino aveva fatto ancora in settembre a 7 euro» e il capo le avrebbe risposto «e fai 6.70 a Minervino, dai». L’avvocato Russano ha chiesto di ottenere la trascrizione del dialogo, sostenendo che in realtà non si stesse parlando di Minervino, ma di una cava a Megliadino San Fidenzio, nel Padovano e si è detto pronto a produrre le fatture relative all’acquisto di materiale inerte a quel prezzo.
La difesa, che ora ha intenzione di ricorrere al Riesame, ha più volte ribadito che il figlio di Aversa De Fazio, Vincenzo, non risulta in alcun modo indagato. E ha ricordato che è stato presentato ricorso al Tar del Veneto contro l’interdittiva antimafia emessa lo scorso anno dal prefetto Salvatore Mulas nei confronti dell’azienda Adf intestata proprio al figlio. Il provvedimento prefettizio riportava il «concreto e attuale rischio di infiltrazione mafiosa nei confronti della società in questione», ricordando che il padre del titolare risultava coinvolto in inchieste «in cui è emersa la presenza anche di diversi soggetti direttamente collegati alla criminalità organizzata di stampo mafioso e, segnatamente, contigui alla ‘ndrina Grande Aracri».