L’importanza dei leader e il ruolo dei follower
Il libro di Luciano Fontana, direttore del Corriere della sera, «Un paese senza leader» (Longanesi, Milano, 2018) sarà presentato oggi a Padova alle ore 17.30 presso la Cassa di Risparmio del Veneto. Ne discuteranno Paolo Feltrin, Antonio Santocono e Giuseppe Zaccaria. Iscrizioni: segreteria.eventi@crveneto.it
Potremmo fare a meno di eroi, come raccomandava Bertolt Brecht, ma non di leader. Il libro di Luciano Fontana contiene un avvertimento da prendere molto seriamente. La leadership è una componente molto importante di tutte le organizzazioni, profit o non profit, ed è essenziale per il loro governo. Il potere nella storia non si è costruito una buona fama e studiosi di varie discipline hanno dato importanti contributi per farci capire come delimitarlo e legittimarlo.
Per essere efficacemente esercitati, il potere e l’autorità devono basarsi su sistemi di regole ma anche essere riconosciuti dai follower. Il successo del leader nasce dall’impegno dei follower. Robert Kelley ha stimato che la performance di un’organizzazione dipende solo per un 10-20% dal leader (non è poco e fa la differenza) e per il resto dai follower. E aggiunge: la velocità di un convoglio deriva da quella dell’unità più lenta e non dell’ammiraglia. Se in un’organizzazione molti aspirano al vertice, ciascuno sarà più impegnato a contrastare i concorrenti che a collaborare al successo del leader.
Il correntismo e lo scissionismo che hanno distrutto alcuni partiti politici ne sono la manifestazione più evidente.
I differenziali di potere fanno parte della fisiologia delle organizzazioni complesse anche se l’evoluzione tecnologica, lo sviluppo culturale e sociale hanno contribuito a ridurre numero e dimensione dei gradini gerarchici, valorizzando le relazioni orizzontali e ridimensionando, ma non annullando, quelle verticali. Non esistono organizzazioni piatte. Piatto è solo il tracciato elettrico del cervello nella morte clinica. Esiste una concentrazione minima di potere al di sotto della quale non si governa la complessità. Ma ne esiste anche una massima oltre la quale si creano iniquità, si disperdono risorse, non si sfruttano le potenzialità di tutte le persone.
Il potere è come l’antibiotico: sotto una concentrazione minima nel sangue non serve a nulla o peggio può essere nocivo perché seleziona i batteri più aggressivi; al di sopra della massima uccide i batteri ma intossica l’organismo fino a farlo morire. Muoversi tra questi due limiti è il ruolo fondamentale dei leader, e delle regole che presiedono alla loro selezione e al loro controllo.
Questo vale per i partiti, gli Stati, le associazioni e le aziende. Infatti il problema analizzato dal libro di Luciano Fontana si ritrova anche nel capitalismo familiare italiano e veneto, in particolare. Le aziende sembrano non crescere o non crescere abbastanza perché i passaggi generazionali avvengono spesso frazionando il patrimonio: gli eredi che aspirano alla leadership preferiscono ritagliarsi un proprio potere su una piccola parte piuttosto che dare il loro contributo da follower a un grande progetto unitario. E scelgono l’exit.
Questa situazione ha spiegazioni di tipo culturale ma è anche dovuta al fatto che il fondatore non stabilisce regole di successione che predefiniscano i ruoli favorendo una leadership che separi le regole della famiglia da quelle dell’impresa.
In conclusione, per (ri)costruire una solida governance nei partiti come nelle aziende conviene (ri)partire dai follower.