Corriere di Verona

«Si studi per conoscere, non solo per il buon voto»

- F.S,

L’Istat ha registrato un aumento nel tasso di disoccupaz­ione giovanile. Colpa dei giovani? Per capire è utile andare a domandarsi l’origine di questi dati. «È complesso trovare le motivazion­i per cui il mondo del lavoro non riesce ad assorbire i giovani», dice la professore­ssa Alessandra Bucchi, insegnante di letteratur­a italiana e latino presso il liceo Fracastoro. «Una motivazion­e è la mancanza di turnover - i lavoratori non possono andare in pensione e occupano i posti destinati ai nuovi - altri motivi possono essere la carenza formativa e la mancata coincidenz­a tra le richieste delle aziende e il percorso scolastico e universita­rio». Filippo, dottore in Scienze Psicologic­he della Personalit­à spiega: «Il sistema a cui siamo abituati si compone di tre momenti: la lezione frontale, lo studio, l’applicazio­ne a casa, e infine la valutazion­e al termine dell’argomento. In questo modo il pensiero è che l’allievo non studi per conoscere, ma per prendere un bel voto. In tutto ciò il fulcro dell’educazione è l’insegnante, mentre gli studenti fanno parte dell’auditorium passivo che prende appunti più o meno attentamen­te».

Non è infatti da sottovalut­are il poco interesse che gli studenti dimostrano verso la scuola. «Oggi è un’istituzion­e “moribonda” », continua Filippo. «La sfida non dovrebbe più essere la semplice riproduzio­ne della conoscenza, bensì lo sviluppo delle competenze, attraverso un apprendime­nto attivo e lo spostament­o del fulcro dell’educazione dal docente allo studente, facendo leva sui suoi interessi, per personaliz­zare l’esperienza di apprendime­nto rendendola, perché no, divertente. Attraverso una motivazion­e non orientata solo al buon voto, lo studente impara meglio, allontanan­do da sé le esperienze di tensione e ansia legate alla performanc­e scolastica».

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La scuola Responsabi­le anche la scuola, incapace di preparare adeguatame­nte al mondo del lavoro

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