CARLOTTO E LA RAI SMEMORATA
La storia del brutale omicidio con 59 coltellate di Margherita Magello, 24 anni, la conoscono tutti i veneti che erano giovani (non bambini) negli anni Settanta. Il delitto, il processo, la fuga all’estero del presunto colpevole Massimo Carlotto, condannato in Appello, e poi in Cassazione, a 18 anni di carcere, l’estradizione, la galera, la grazia concessa da Oscar Luigi Scalfaro, la riabilitazione. Molti finora conoscevano però Carlotto solo come autore di fortunanti bestseller: un grande scrittore noir, la cui brillante carriera era iniziata proprio con l’autobiografico «Il fuggiasco». Il caso, completo delle molte vite del protagonista, ha lasciato echi di dubbio, fra accusa e difesa, in primis l’autodifesa del condannato sempre dichiaratosi innocente. L’iter giudiziario è stato lungo e complesso, però dopo sei anni di carcere Carlotto ha ricevuto la grazia richiesta dai genitori per motivi di salute psicofisica. Infine la riabilitazione che, concessa per vari motivi fra cui la buona condotta, cancella la pena, restituisce i diritti di cittadino a chi l’ha ottenuta, anche se non cancella il nome del riabilitato dal casellario giudiziario. Questo, in estrema sintesi, il passato. L’oggi aggiunge l’incarico a Carlotto, da parte della Rai, di condurre una trasmissione in molte puntate su delitti prevalentemente seriali, con inizio proprio oggi, 18 maggio: incarico che ha scatenato polemiche feroci.
Da un lato - quello giudiziario - non è illegittimo, visto che fra i diritti di cui gode un riabilitato ci sta anche quello di parlare in pubblico, in Rai o anche nelle scuole, se lo invitano, perfino di ciò che è argomento dei suoi libri (e della sua vita). Ma questa legittimità è sufficiente a discolpare la Rai, che secondo il presidente del Consiglio Regionale Veneto, Ciabetti, avrebbe mancato di senso di opportunità e di sensibilità, avallando il sospetto di sfruttare invece un certo nome per moltiplicare l’audience? Questo lo pensano anche i parenti della vittima. Se il delitto si fosse verificato oggi, sarebbe stato rubricato come l’ennesimo femminicidio, genere di crimine contro il quale la Rai di solito si mostra assai sensibile. Inoltre, non pochi sostengono che è vergognoso trasformare in personaggio mediatico chi è stato condannato per omicidio. Al contrario, c’è chi abbraccia la tesi dell’innocenza, sostenendo che Carlotto è, «prima di tutto», un grande scrittore. Davvero prima di tutto? Giudicare è sempre difficile, come ci insegna papa Francesco. Perdonare si può. Premiare, magari con ulteriore successo e con denari pubblici, chi ha di certo molto sofferto ma molto ottenuto, come mettere in ombra la parte più controversa della sua vita, è eccessivo. Forse per questo i parenti della vittima chiedono che, come minimo, mentre Carlotto parlerà, appaia una didascalia che ricordi la sua condanna. Non succederà di sicuro, ma la provocazione non sarebbe frutto di «furore censorio», bensì un diritto della vittima a essere ricordata. In America il grande regista Polanski è stato recentemente espulso dai votanti all’Oscar per la (lontana ma gravissima) colpa di aver stuprato una tredicenne, che peraltro oggi, rifattasi una vita felice, lo perdona. Si sa che l’America si dimostra spesso un paese forcaiolo, ma l’Italia, che non deve esserlo, non dovrebbe essere neppure un paese smemorato.