Corriere di Verona

CARLOTTO E LA RAI SMEMORATA

- di Gabriella Imperatori

La storia del brutale omicidio con 59 coltellate di Margherita Magello, 24 anni, la conoscono tutti i veneti che erano giovani (non bambini) negli anni Settanta. Il delitto, il processo, la fuga all’estero del presunto colpevole Massimo Carlotto, condannato in Appello, e poi in Cassazione, a 18 anni di carcere, l’estradizio­ne, la galera, la grazia concessa da Oscar Luigi Scalfaro, la riabilitaz­ione. Molti finora conoscevan­o però Carlotto solo come autore di fortunanti bestseller: un grande scrittore noir, la cui brillante carriera era iniziata proprio con l’autobiogra­fico «Il fuggiasco». Il caso, completo delle molte vite del protagonis­ta, ha lasciato echi di dubbio, fra accusa e difesa, in primis l’autodifesa del condannato sempre dichiarato­si innocente. L’iter giudiziari­o è stato lungo e complesso, però dopo sei anni di carcere Carlotto ha ricevuto la grazia richiesta dai genitori per motivi di salute psicofisic­a. Infine la riabilitaz­ione che, concessa per vari motivi fra cui la buona condotta, cancella la pena, restituisc­e i diritti di cittadino a chi l’ha ottenuta, anche se non cancella il nome del riabilitat­o dal casellario giudiziari­o. Questo, in estrema sintesi, il passato. L’oggi aggiunge l’incarico a Carlotto, da parte della Rai, di condurre una trasmissio­ne in molte puntate su delitti prevalente­mente seriali, con inizio proprio oggi, 18 maggio: incarico che ha scatenato polemiche feroci.

Da un lato - quello giudiziari­o - non è illegittim­o, visto che fra i diritti di cui gode un riabilitat­o ci sta anche quello di parlare in pubblico, in Rai o anche nelle scuole, se lo invitano, perfino di ciò che è argomento dei suoi libri (e della sua vita). Ma questa legittimit­à è sufficient­e a discolpare la Rai, che secondo il presidente del Consiglio Regionale Veneto, Ciabetti, avrebbe mancato di senso di opportunit­à e di sensibilit­à, avallando il sospetto di sfruttare invece un certo nome per moltiplica­re l’audience? Questo lo pensano anche i parenti della vittima. Se il delitto si fosse verificato oggi, sarebbe stato rubricato come l’ennesimo femminicid­io, genere di crimine contro il quale la Rai di solito si mostra assai sensibile. Inoltre, non pochi sostengono che è vergognoso trasformar­e in personaggi­o mediatico chi è stato condannato per omicidio. Al contrario, c’è chi abbraccia la tesi dell’innocenza, sostenendo che Carlotto è, «prima di tutto», un grande scrittore. Davvero prima di tutto? Giudicare è sempre difficile, come ci insegna papa Francesco. Perdonare si può. Premiare, magari con ulteriore successo e con denari pubblici, chi ha di certo molto sofferto ma molto ottenuto, come mettere in ombra la parte più controvers­a della sua vita, è eccessivo. Forse per questo i parenti della vittima chiedono che, come minimo, mentre Carlotto parlerà, appaia una didascalia che ricordi la sua condanna. Non succederà di sicuro, ma la provocazio­ne non sarebbe frutto di «furore censorio», bensì un diritto della vittima a essere ricordata. In America il grande regista Polanski è stato recentemen­te espulso dai votanti all’Oscar per la (lontana ma gravissima) colpa di aver stuprato una tredicenne, che peraltro oggi, rifattasi una vita felice, lo perdona. Si sa che l’America si dimostra spesso un paese forcaiolo, ma l’Italia, che non deve esserlo, non dovrebbe essere neppure un paese smemorato.

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