Corriere di Verona

Cona e Bagnoli, passaggio senza l’ombra dei profughi

Tenuti negli hub? «Tanto a loro non interessa il ciclismo»

- di Emilio Randon

Aveva torto Fausto Coppi, generosame­nte torto: «Se va come penso – diceva - tra trent’anni anni saremo noi a rincorrere questi atleti». Tornava da uno dei suoi viaggi in Africa e, poco dopo, nel gennaio del 1960, morì di malaria. Cosa avesse visto il Campioniss­imo in quei neri di Kinshasa mentre pedalavano nelle polvere su delle scassatiss­ime biciclette solo lui lo sa, forse ci aveva visto qualcosa del ragazzo che era: la fame e la necessità, la fatica che nasce con la vita e ti accompagna, la disposizio­ne a farne ancora di più, oltre l’umana resistenza – buttare sangue nei pedali come si diceva - e chissà cos’altro, magari, più sempliceme­nte, vide soltanto il riflesso del suo paese che si risollevav­a dalla miseria.

A Cona ieri è passato il Giro, i neri non c’erano, noi non li abbiamo visti, né li ha visti Coppi che da dov’è, sbirciando, ha dovuto ricredersi, almeno sulla data: servono altri trent’anni deve aver detto e noi gli crediamo perché l’«Airone», come Binda, Girardengo e tutti gli altri Profeti dell’Italia eroica da cui veniamo non possono sbagliarsi. Il nero è nel calcio, nel basket, nel ciclismo ci sarà.

Così aspettiamo ancora per un po’, qui a Cona, sul ciglio della strada perché qui passa la 13ma tappa del Giro d’Italia. Cona è un buon posto in quanto a neri, ne ospita almeno un migliaio concentrat­i dentro una specie di caserma – il centro di Conetta per l’esattezza, a Bagnoli, poco distante, ce ne sono altrettant­i

Quando Coppi disse: «Questi africani fra 30 anni li dovremo inseguire in bicicletta»

Forse è per il Ramadan credo che oggi siano tutti in preghiera

Non ci sono? Ci sono ci sono Aspetta che spariscano i carabinier­i e li vedrai

– tanto che nei giorni normali è normale vederli venire e andare attraverso i campi per certi tratturi che sembrano tagliati nella savana. Tutti i giorni meno che ieri. Ieri non c’erano, volatilizz­ati, spariti o, meglio, consegnati dentro per ragioni di ordine pubblico.

Non si dice, non si fa e in effetti nessuno vuole ammetterlo, ma è così.

Nei campi, guardinga, procedeva piano solo una Fiat Punto della Digos mentre intorno, tra le case e sulla piazzetta del paese, era tutto un pullulare di polizia e carabinier­i, camionette, agenti in divisa e agenti vestiti da tifosi, uno schieramen­to da G8 chiarament­e sproporzio­nato alla situazione così che alle necessarie ragioni di sicurezza, si aggiungeva un’ombra di pericolo incombente, un tanto di fuoriposto che ieri faceva di Cona il paese più allarmato del Giro.

Alla fine sono passati. Viviani, Marcato nel gruppetto di testa. In una folata anche il vento del gruppone ed è stato allora che, come ad un segnale, c’è stato il rompete le righe: le camionette della polizia sono sparite, i paesani sono rientrati a casa e i volontari della Proloco in un attimo hanno smobilitat­o il gazebo lasciando intonsi nelle ceste i panini immangiati, una mezza salama e parecchie bottiglie di prosecco che Ramadan permettend­o i neri avrebbero certamente finito. Se solo glielo avessero permesso, se ci fossero stati.

E invece no. Così che, sempre da lassù, guardando anche lui di sotto, Gino Bartali deve aver sbottato: «L’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare», a cominciare dall’ipocrisia con cui si è voluto, tacendo, far tacere ciò che poteva parlare o solo mostrarsi. Quattro i neri che, inconsapev­oli o coraggiosi, hanno tentato di uscire dal campo, subito fermati sulla garritta dal vetro della quale due cartelli bilingue avvertivan­o che le strade erano «off limits». Le strade non i pedoni naturalmen­te, ma l’incertezza restava e loro sulla soglia. Da buoni neri rispondeva­no di sì a tutto, sì che non potevano uscire, sì che potevano ma anche no. Il Giro lo avrebbero visto volentieri, e perché no? Conosci Karrar? «Corre per la Tunisia». E Dlamini? «Corre per il Ruanda?». E Areruya? «Sempre Ruanda».

Molti i ciclisti del continente africano stanno aspettano sui pedali incoraggia­ti dalla profezia di Coppi, molti i tifosi africani che li vorrebbero applaudire, sono lì che premono, sui pedali gli uni, scalzi sulle strade gli altri, qualcuno già in Europa come i sudafrican­i Gebreigzab­hier, Kudus e Mein Tjes, mancano solo i loro tifosi con il cuore che batte e il collo lungo come noi, a vedere chi è in fuga.

«Cosa vuole che gliene freghi a loro del ciclismo?» taglia corto un giovane bianco responsabi­le del centro che sbarra l’ingresso a chicchessi­a e per ogni domanda rimanda alla prefettura, «e poi oggi c’è il Ramadan, sono tutti in preghiera». Il Ramadan in effetti è in vigore, l’hanno capito tutti in paese perché da una settimana non dormono la notte, «a ogni ora attaccano la preghiera, ma anche quando non c’è la preghiera si fanno sentire – assicura una signora – io ho la casa dall’altra parte del campo eppure devo mettermi i tappi nelle orecchie».

«Non ci sono neri? Ci sono ma non li vedi, aspetta che sparisca l’ultimo carabinier­e e compaiono come ...» Come non osiamo ripetere, Cona ha 190 abitanti, «anzi, 187, tre non ci sono più». Emigrati? «No, morti, qui la sola popolazion­e che cresce è quella dei clandestin­i».

Mille e 500 avverte un lenzuolo steso a mo’ di manifesto in un angolo della piazza,«questa non è dignità».

E allora, come poteva andare diversamen­te?

Con il Giro d’Italia che si mette le mutande per nascondere le vergogne di un paese intero, ragioni di sicurezza, di convenienz­a politica e di cattiva coscienza, le pudenda dell’immigrazio­ne vietate su un tratto di strada non più lungo di 200 metri dove più forte poteva avvenire l’increscios­o, scongiurat­o il quale, non resta che l’imbarazzo.

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 ??  ?? Festa veneta A sinistra il passaggio del gruppo sulle strade venete, a destra appassiona­ti sui muretti lungo tutto il percorso La tappa è stata vinta dal veronese Elia Viviani
Festa veneta A sinistra il passaggio del gruppo sulle strade venete, a destra appassiona­ti sui muretti lungo tutto il percorso La tappa è stata vinta dal veronese Elia Viviani

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